Nella vicenda della Regione Lombardia non c’è solo l’indagine sui 513mila euro incassati dal cognato di Fontana, Andrea Dini. Ieri la Finanza ha raggiunto anche il commercialista di Varese che ha curato per il governatore lombardo la “voluntary disclosure” dei 5,3 milioni di euro.
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Si tratta di una somma che Fontana custodiva in due trust alle Bahamas e che ha regolarizzato nel 2015, depositandoli in Svizzera. I pm Carlo Scalas, Paolo Filippini e Luigi Furno, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, intendono chiarire la provenienza di quel denaro.
Per questo il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano ha acquisito le dichiarazioni dei redditi 2015 e 2016 e tutti gli allegati relativi alla pratica sul rientro dei capitali. Del denaro si viene a sapere quando emerge il conflitto di interessi tra Dama (srl di Andrea Dini) e l’ente regionale Aria (la centrale unica degli acquisti della Regione) che ha pubblicato l’appalto dei camici.
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La vendita viene trasformata in donazione, e Fontana decide di risarcire il cognato ordinando all’Unione fiduciaria di Milano di bonificargli 250mila euro. Il “risarcimento” non va però in porto: la stessa fiduciaria blocca il pagamento e invia una Sos (Segnalazione di operazione sospetta) a Banca d’Italia, che la gira in procura.
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C’è “il diffuso coinvolgimento di Fontana, accompagnato dalla parimenti evidente volontà di evitare di lasciare traccia mediante messaggi scritti” scrivono i pm. Con la scusa dell’emergenza coronavirus si vuole trasformare l’affare per Dama. La traccia è nelle chat acquisite a luglio dal cellulare di Andrea Dini, socio (al 90%) dell’azienda insieme alla sorella e moglie del governatore, Roberta (10%).
Da parte loro ci sarebbe “piena consapevolezza del conflitto d’interessi”, si legge nel decreto con cui la Finanza ha acquisito i cellulari dell’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo, di quello al Bilancio Davide Caparini, del capo della segreteria di Fontana ed ex compagna di Salvini, Giulia Martinelli, oltre che della stessa moglie di Fontana Roberta Dini. Nessuno di loro è indagato.
A ridosso dell’affidamento diretto dei 75mila camici (16 aprile), proprio alla sorella scrive su WhatsApp, Andrea Dini, scrive: “Ordine camici arrivato. Ho preferito non scriverlo da Atti”. Lei risponde: “Giusto bene così”. Pochi giorni dopo, il 21 aprile, l’imprenditore scrive invece a un suo dipendente, per predisporre “strumentali donazioni di mascherine”.
L’ordine è preciso: “dobbiamo donare molte più mascherine, se ci rompono per i camici causa cognato, noi rispondiamo così”. Partono le prime consegne di camici, e Dama emette le fatture ad Aria. Ma quando si diffondono le prime voci sul conflitto d’interessi tra la srl e la Regione, Fontana chiede al cognato di trasformare la compravendita in donazione. Dalle chat emerge il nervosismo dei fratelli Dini. Andrea scrive alla sorella di non sapere se può stornare le fatture.