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Caso Becciu: le motivazioni della condanna per peculato e cattiva gestione fondi ecclesiastici

Caso Becciu: le motivazioni della condanna per peculato e cattiva gestione fondi ecclesiastici

Il tribunale vaticano ha pubblicato una dettagliata sentenza di 700 pagine che chiarisce le ragioni della condanna del cardinale Becciu

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Il tribunale vaticano, presieduto dal giudice Giuseppe Pignatone, ha pubblicato una dettagliata sentenza di 700 pagine che chiarisce le ragioni dietro la condanna del cardinale Angelo Becciu e altri imputati in un caso di peculato e altri reati, legati a investimenti rischiosi e presunte truffe nella gestione di fondi della Santa Sede.

Caso Becciu: le motivazioni della condanna per peculato e cattiva gestione fondi ecclesiastici. La corte ha esaminato ogni aspetto della vicenda, dall’azzardato investimento in un palazzo londinese al presunto utilizzo improprio dei fondi destinati a scopi umanitari.

L’investimento rischioso a Londra e il peculato

La corte ha ritenuto che l’investimento effettuato nel palazzo di Londra, inizialmente affidato al finanziere Raffaele Mincione, fosse una decisione avventata. Becciu, allora Sostituto agli affari generali della Segreteria di Stato, avrebbe proposto questo investimento, prima nel settore petrolifero angolano e poi nel fondo gestito da Mincione. La sentenza evidenzia come il peculato possa configurarsi anche in assenza di un guadagno personale: infatti, secondo la legge vaticana e i principi di gestione dei beni della Chiesa, l’uso illecito delle risorse pubbliche costituisce peculato anche se l’amministratore non ne trae un beneficio diretto. L’investimento è risultato non solo inopportuno ma anche privo delle dovute garanzie di controllo, portando a una significativa perdita per il patrimonio della Santa Sede.

Le relazioni con i superiori e il ruolo di Monsignor Edgar Peña Parra

Le motivazioni precisano che il cardinale Becciu avrebbe agito autonomamente, senza il consenso o il coinvolgimento dei suoi superiori, i cardinali Tarcisio Bertone e Pietro Parolin. Monsignor Edgar Peña Parra, successore di Becciu, viene descritto come ingannato dai dettagli e dalle rassicurazioni che lo avevano convinto ad approvare accordi poi risultati dannosi per la Santa Sede. La corte ha rilevato come Peña Parra fosse stato raggirato, mentre Becciu si sarebbe adoperato per sostenere l’operazione con una forte partecipazione personale, collegandosi direttamente con i principali attori finanziari coinvolti, tra cui Mincione e Crasso, anche in assenza di controlli adeguati.

Gli intrecci con Cecilia Marogna

Uno degli aspetti più controversi del caso riguarda Cecilia Marogna, figura legata a Becciu e destinataria di fondi vaticani apparentemente per attività umanitarie. Tuttavia, l’indagine ha evidenziato come gran parte dei 600.000 euro destinati a Marogna sia stato speso in beni di lusso e alberghi di lusso, senza alcuna correlazione con le finalità dichiarate. La corte ha considerato significativo il fatto che Becciu, nonostante fosse a conoscenza dell’utilizzo improprio dei fondi, non abbia mai preso le distanze da Marogna né intentato azioni legali contro di lei. Secondo le motivazioni, Becciu ha mantenuto rapporti “più che cordiali” con Marogna, anche dopo aver appreso delle irregolarità.

La cooperativa del fratello e il reato di peculato

La corte ha anche esaminato i fondi trasferiti alla cooperativa gestita dal fratello di Becciu, Antonino, in Sardegna. Pur non trattandosi di un utilizzo dei fondi per fini personali, il tribunale ha stabilito che si trattava comunque di peculato, poiché i fondi della Chiesa, in assenza di autorizzazione scritta del Papa, non potevano essere concessi a un parente fino al quarto grado di consanguineità. Anche se destinati a progetti caritativi, la mancanza di autorizzazione configura una violazione delle normative canoniche e vaticane.

La difesa della giustizia vaticana

In risposta alle accuse di violazioni dei diritti degli imputati, la corte vaticana ha evidenziato l’impegno a garantire un giusto processo. Nonostante le critiche mediatiche, il tribunale ha garantito la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa. Secondo Andrea Tornielli, direttore editoriale vaticano, la corte ha dato ampio spazio alle difese, esaminando in modo completo e approfondito i fatti e i documenti presentati. La corte ha inoltre riformulato alcune accuse e assolto diversi imputati in assenza di prove sufficienti.

Peculato e criteri di amministrazione

La sentenza chiarisce ulteriormente il concetto di peculato, precisando che non è necessario un guadagno personale per configurare il reato. L’amministrazione dei fondi ecclesiastici, secondo la legge vaticana, richiede prudenza e una gestione mirata alla conservazione del patrimonio, con investimenti che, pur puntando al guadagno, debbano mantenere un rischio contenuto e garantire un certo controllo sulla gestione dei fondi. L’investimento nel palazzo di Londra ha mancato questi criteri, portando alla condanna di Becciu e dei suoi collaboratori.

Il caso si è svolto in 86 udienze e ha coinvolto una molteplicità di figure, tra cui Becciu, Mincione, Crasso, e il broker Gianluigi Torzi, tutti accusati di aver operato in modo illecito con i fondi della Santa Sede. La sentenza sancisce una rigorosa posizione del tribunale vaticano in difesa della trasparenza e della buona amministrazione, rimarcando l’importanza di una gestione responsabile e prudente dei beni ecclesiastici.

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