Carcere ostativo: per la Consulta i boss che non collaborano possono essere liberati
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Con l’ordinanza firmata dal giudice Nicolò Zanon la Consulta formalizza la sua richiesta al Parlamento di cambiare le attuali regole nei prossimi 12 mesi. Regole che, oggi, rendono impossibile ottenere la “liberazione condizionale” se il mafioso in carcere non collabora con la giustizia. Anche dopo 26 anni di pena scontata. In un ampio comunicato la Corte stessa rende noto il contenuto dell’ordinanza.

“La collaborazione con la giustizia – sintetizza l’ufficio stampa della Corte riportando le parole di Zanon sul carcere ostativo – certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente” e non è irragionevole presumere che l’ergastolano non collaborante mantenga vivi i legami con l’organizzazione criminale di appartenenza. Tuttavia, l’incompatibilità con la Costituzione si manifesta nel carattere assoluto di questa presunzione poiché, allo stato, la collaborazione con la giustizia è l’unica strada a disposizione dell’ergastolano ostativo per accedere al procedimento che potrebbe portarlo alla liberazione condizionale.

“La collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento: la condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione, così come, di converso, la scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali”.

È quanto si legge nella motivazione depositata oggi (e anticipata il 15 aprile) con cui la Corte costituzionale ha stabilito che spetta, però, al Parlamento, in prima battuta, modificare questo aspetto della disciplina relativa all’ergastolo ostativo. Un intervento meramente “demolitorio” della Corte, infatti, potrebbe produrre effetti gravi compromettendo le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il fenomeno della criminalità mafiosa. Appartiene invece alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte possono accompagnare l’eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale. Fra queste scelte “potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione”. 

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Perciò la Corte ha ritenuto necessario rinviare il giudizio e fissare una nuova discussione alla data del 10 maggio 2022, così da garantire al legislatore il tempo necessario per affrontare la materia. 

Le norme contestate dalla Cassazione e portate all’esame della Consulta stabiliscono che i condannati all’ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della liberazione condizionale. Tempo che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà. Possono invece accedere a tale beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua. Compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose.

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