Intorno alla misteriosa vicenda dei bonus richiesti -pare- da alcuni parlamentari, le cose si vanno delineando. E non perché i protagonisti -governo e presidente Inps in testa- abbiano contribuito a un chiarimento, ma semplicemente perché, come in tutti i fatti, a rivelare la verità sono i dettagli.
Bonus, Inps e deputati
Il fatto principale è che l’Istituto di previdenza ha accettato -e dunque autorizzato- il pagamento delle due indennità di 600 euro a persone che non ne avevano necessità. In un primo momento sono stati sono stati messi alla gogna cinque parlamentari: tre leghisti, uno del Movimento 5 stelle e uno di Italia viva. Nel calderone, secondo i dati dell’Inps, ci hanno sguazzato fino a duemila soggetti, tra consiglierei regionali e amministratori locali, che hanno intascato i due bonus.
Dunque, un primo dato è chiaro: la responsabilità, al netto di un giudizio morale delle azioni dei deputati, è dell’Inps.
Seppur in emergenza l’Istituto avrebbe dovuto controllare -magari lavorando h24- i dati dei richiedenti e, nel caso, riservarsi la decisione -in base a criteri oggettivi- dell’erogazione del contributo.
“C’è stata una discussione, e si è scelta la strada più rapida, evitando di chiedere una ulteriore documentazione ai contribuenti” ha spiegato Antonio Misiani, viceministro dem al Ministero dell’Economia e delle Finanze. E ha aggiunto: “Nel primo decreto non c’erano limiti, si è deciso di non tagliare fuori persone che ne avevano bisogno, affidandoci a un senso di responsabilità che dovrebbe coinvolgere tutti, mentre nel secondo decreto sono stati introdotti dei parametri”. A rafforzare la difesa governativa ci pensa anche il 5 Stelle Alessio Villarosa: “Non si potevano mettere paletti sennò avremmo dovuto fare doppi controlli e, come vede, la gente si è lamentata dei ritardi”.
Peccato, però, che l’Inps il tempo per analizzare le domande, e respingerne alcune, lo ha avuto.
E a dirlo è proprio l’Istituto con una serie di messaggi diffusi da marzo a luglio sul sito. Il messaggio 2263 del 1° giugno, ad esempio, fornisce istruzioni per il riesame delle domande di bonus 600 euro respinte. In particolare l’INPS chiarisce la gestione delle domande respinte e poi illustra le modalità di presentazione dei riesami delle domande relative al mese di marzo 2020, previste dal Decreto Cura Italia. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, dovrebbe essere a conoscenza che tra quelle richieste respinte ci fu un ampio ventaglio di professionisti e imprenditori che non avevano diritto al bonus.
- alcune categorie di lavoratori autonomi iscritti all’AGO,
- liberi professionisti iscritti alla gestione separata dell’INPS,
- collaboratori coordinati e continuativi (Co.co.co),
- lavoratori dipendenti stagionali del turismo e degli stabilimenti termali,
- i lavoratori del settore agricolo a tempo determinato,
- infine i lavoratori dello spettacolo (iscritti al Fondo pensioni dello spettacolo).
Corrispondono al falso, evidentemente, sia le dichiarazioni di Tridico che degli esponenti del Governo. Il dato appare chiaro: Ciò che Tridico e il governo non vogliono ammettere è quello di riconoscere di aver scritto male la norma sui criteri e i requisiti di accesso al bonus immesso dal Dl Cura Italia tentando una comica difesa.
Altro dettaglio interessante è la comunanza della notizia tra Inps e governo.
La potenza di fuoco della comunicazione grillina sembrava stesse aspettando già da ore la diffusione della notizia per sparare a zero su tutti i Social con analisi -più o meno approfondite- dei vari rappresentanti governativi. Dubbi e malumori che si sono diffusi proprio in Parlamento: “Sarebbe utile sapere -sottolinea Fratelli d’Italia- come mai dalle prime ore della giornata di ieri – e alcuni dicono anche da più tempo – autorevoli esponenti del M5S già conoscessero le appartenenze politiche dei responsabili di questi vergognosi comportamenti. Tridico, presidente Inps da loro nominato glieli ha fatti avere ‘riservatamente’?”
Scoppiato il caso la politica fa quadrato intorno all’indignazione.
Si pone, però, un problema creato ad arte: la privacy. I presunti 5 parlamentari, si dice, non possono essere scovati perché la legge sulla privacy lo impedisce. Peccato che anche questo fosse un trucco mediatico. “Invocare la privacy è sbagliato moralmente e anche giuridicamente non trattandosi di dati sensibili e probabilmente nemmeno riservati” spiega un esperto. Tutto chiaro: i nomi si possono fare. Peccato che il solito Tridico annunci pubblicamente di non sapere nulla delle fughe di notizie ma soprattutto dei nomi.
La politica e l’informazione non registrano questa dichiarazione e il dibattito tra buoni e cattivi procede e rafforza politicamente il partito giustizialista dei 5 stelle. Pochi minuti fa a mettere a tacere tutti è il garante della privacy: “Questa non è una questione di privacy. I deputati che hanno chiesto – incredibilmente – il bonus Covid non possono farsi scudo delle norme a protezione della riservatezza. In altre parole, non possono invocare la privacy per chiedere che il loro nome resti segreto.”
Ora, probabilmente, tutto si concluderà in giornata con la gogna dei percettori e le scuse dei “colpevoli”.
È evidente che l’obiettivo di questo bailamme fosse un altro: rafforzare la componente grillina in prospettiva del voto di settembre sul taglio dei parlamentari. “La vittoria del no al referendum sarebbe un vero e proprio avviso di sfratto per il governo”, spiegano dall’opposizione. “Potrebbe far deflagare i grillini e con loro l’attuale maggioranza”. Per questo sono in molti a ritenere che l’uscita della notizia dei deputati non sia stata un semplice caso ma una vera e propria “arma di distrazione di massa”. “La tempistica è tutto nella politica”, spiega una fonte parlamentare.
Evidentemente la vicenda sta sfuggendo di mano agli ideatori in quanto qualcuno ha già chiesto a Tridico di rispondere in Commissione parlamentare. Lui, come appunto ha ribadito, non sa nulla. Peccato che a Ettore Rosato di Italia Viva ha detto che nessun parlamentare renziano è coinvolto.
di Antonio Del Furbo
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