Il mistero sulla condotta del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sulla vicenda del Dap non conosce fine. Dopo le dimissioni del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, Bonafede ha cercato di riparare con la nomina di Bernardo Petrali, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria.
La scelta di Roberto Tartaglia
Una scelta che molti hanno giudicato ottima ma che, forse, non è stata la migliore. Se la scelta del vice-capo del Dap è ricaduta su un uomo come Roberto Tartaglia, un magistrato impegnato su indagini di mafia e che ha gestito direttamente sia i collaboratori di giustizia che i boss detenuti al 41 bis, di conseguenza si doveva procedere alla scelta del capo del Dap con gli stessi criteri.
Petralia, è stato consigliere del Csm e Procuratore aggiunto a Palermo. Il suo curriculum vanta un ottimo lavoro come coordinatore del pool sui reati contro la pubblica amministrazione. Una competenza specifica e che non ha molto a che vedere con le carceri e con quel mondo stragista dei boss al 41 bis.
I nomi sul tavolo
Eppure sul tavolo del ministro, oggi come allora, ha nomi di magistrati che quel mondo lo conosce bene. Magistrati in grado di valutare perfettamente le condizioni dei boss decidendo in completa autonomia sulle scarcerazioni. Perché, dunque, non proporre un Nicola Gratteri, un Nino Di Matteo o un Roberto Scarpinato?
Come abbiamo riferito in un precedente articolo, nei giorni in cui il ministro stava decidendo il nome da mettere a capo del Dap, fu raggiunto da un’informativa del Gruppo Operativo Mobile (GOM), reparto mobile del Corpo di Polizia Penitenziaria, in cui veniva informato di gravi affermazioni fatte da detenuti al regime 41 bis. I boss commentavano le indiscrezioni sulle nomine ai ministeri del nascente governo giallo-verde. Una eventuale nomina di Di Matteo al Dap, avrebbe preoccupato molto i mafiosi: “Se viene questo Nino Di Matteo siamo consumati, per noi è finita”. E che il mondo carcerario fosse in subbuglio è stato confermato proprio da Nino Di Matteo.
Il Ministro, sempre in quel periodo, che aveva in mente di nominare Di Matteo capo del Dap, indietreggiò dopo 48 ore dalla proposta fatta al magistrato. “Mi era stato proposto il Dap – ha confermato Nino Di Matteo – ma mi ero riservato una decisione entro le 48 ore. Quando tornai per dire di aver accettato la proposta, Bonafede mi disse di aver cambiato idea” ha aggiunto il magistrato.
Le intercettazioni dei boss
Cesare Carmelo Lupo, ex reggente della cosca Brancaccio per conto dei fratelli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano, diceva nel carcere de L’Aquila : “Appuntato, avete visto che come capo dipartimento (direttore del Dap, ndr) mettono a Di Matteo? Che vogliono fare? Stringerci ancora di più? Noi siamo già stretti, più di questo non possono fare”.
Le proteste nelle carceri
Ai primi di marzo arrivano le proteste e gli scioperi all’interno delle carceri contro i provvedimenti del governo per ridurre i rischi di contagio di Coronavirus. Fu scritto il “Cura Italia” che, nonostante si escludesse i boss mafiosi tra i detenuti che potevano uscire, venne definito da Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita come un “indulto mascherato” e un “pericoloso segnale di distensione”.