A quanto pare, Silvio Berlusconi non aveva tutti i torti nel definirsi un perseguitato dalla giustizia. Ricordo, ad esempio, quando timidamente si affidò alla sensibilità dell’allora presidente americano, Barack Obama, nel chiedergli un aiuto per riformare la giustizia italiana. Correva l’anno 2011 e, di lì a poco, Berlusconi fu spazzato via dalla scena politica.
I giornali italiani definiscono il gesto di Berlusconi alla riunione dei capi di stato del G8 a Deauville “una nuova goffa iniziativa internazionale”. In quelle ore, in realtà, si consuma qualcosa di molto più grande e serio. Il premier, esasperato umanamente e politicamente – comprendendo che per lui è “finita” – tenta l’ultima carta. “Voglio fare la riforma della giustizia che per noi è fondamentale. Perché noi abbiamo la dittatura dei giudici di sinistra” riferisce a Obama.
È il 26 maggio del 2011. Le cose per il Cavaliere non finiscono bene. Infatti, il 16 novembre dello stesso anno il suo governo cade sotto una non chiara operazione politica.
A capo dell’operazione c’è l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono mesi in cui esplode la crisi del debito, il rischio di declassamento dell’Italia, l’indebolimento del governo. Arriva, infine, la celebre lettera della Ue che impone al Paese la cura da cavallo anticrisi. Il tutto culmina con le dimissioni di Berlusconi e la nascita del governo Monti. Un Esecutivo, quello guidato dall’ex commissario europeo, di cui già durante l’estate si parla ampiamente.
Il 9 novembre Napolitano nomina Monti senatore a vita. Il giorno prima, con il voto sul Rendiconto alla Camera, il premier capisce di non avere più la maggioranza assoluta. Tre giorni dopo, Silvio Berlusconi sale al Colle per dimettersi: il 12 novembre, il Cav getta la spugna al termine di una giornata tesissima. Quel giorno Berlusconi e Monti si incontrano a Palazzo Chigi per un colloquio di 2 ore. Il 16 novembre il presidente della Repubblica dà a Monti l’incarico di formare un governo tecnico. Lo spread scende a 368 punti il 6 dicembre. Ma l’anno termina con il differenziale di nuovo sopra quota 500.
Fin qui le vicende politiche.
Ma Berlusconi deve essere distrutto, messo da parte e di certo non basta questo per metterlo fuori gioco. Occorre dargli il colpo finale: annientarlo con la clava giustizialista. E così è. Al Ruby-gate segue il processo, fatto in un tempo lampo, sulle presunte mazzette Mediaset. In primo grado, nel giugno del 2012, il Pm De Pasquale chiede 3 anni e otto mesi. La Corte arrotonda a quattro. L’appello si conclude nel maggio dell’anno successivo, confermando la pena, e tre mesi dopo, ad agosto, arriva la sentenza della Cassazione. Berlusconi viene spedito ai servizi sociali e buttato fuori dal Senato sulla base della Legge Severino. Un capolavoro per chi lo vuole distruggere.
Forza Italia, però, è forte e al ministero della Giustizia c’è Angelino Alfano. Gli eletti del Cavaliere cercano di contrastare il “golpe” ma senza riuscirci.
È il 12 marzo del 2013 quando gli onorevoli e i senatori azzurri occupano il palazzo di giustizia di Milano. Bisogna dare un segnale. Una manifestazione “silenziosa” interrotta solo dalle note dell’Inno di Mameli, intonate davanti alla scalinata del Tribunale. Durissimo il messaggio lanciato dall’ex guardasigilli: “Noi abbiamo un interlocutore di cui ci fidiamo, è il presidente della Repubblica. A lui affidiamo la nostra preoccupazione per questa emergenza democratica”.
Adesso tocca a Giorgio Napolitano trovare una soluzione. “In un crescendo di agguati e colpi bassi, la procura di Milano ha preso nuovamente di mira Silvio Berlusconi: l’obiettivo dei pm è quello di decapitare il centrodestra, attraverso un fuoco incrociato di condanne, prima di tornare alle urne” scrive il Giornale. La magistratura porta avanti l’attacco finale. E Napolitano resta in silenzio dopo aver defenestrato (politicamente) Berlusconi.
L’attacco giudiziario valica qualsiasi regola democratica spingendo il Pdl a riunire i propri parlamentari per decidere come reagire all’emergenza giudiziaria e ai nuovi assalti della magistratura “rossa”. Mentre a Milano il pm Ilda Boccassini chiede e ottiene la visita fiscale per trascinare il Cavaliere al processo Ruby, a Napoli la procura pretende il giudizio immediato nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta compravendita di senatori.
L’ex Guardasigilli, nel vertice con il partito, analizza la questione che porta a una condanna a quattro anni nel processo Mediaset: “Colui che paga centinaia di milioni di euro in tasse, avrebbe evaso per tre milioni di euro che, nel mondo berlusconiano, rappresentano ben poca cosa”. Paradossale anche la questione che porta a una condanna a un anno senza condizionale per concorso in violazione del segreto istruttorio nel processo Unipol: “Proprio a Berlusconi che è stato ed è la più grande vittima di fughe di notizie e di rivelazioni di fatti personali”. Tutto questo fino ad arrivare al processo Ruby dove ci sarebbe una concussione senza concusso e una induzione alla prostituzione senza prostituzione.
A fronte di tutte queste ragioni, una volta sciolta la riunione in corso Venezia, i parlamentari marciano verso il Palazzo di Giustizia.
Disposti sulla scalinata dell’ingresso principale, deputati e senatori azzurri contestano l’accanimento della procura milanese nei confronti del Cavaliere. “Non avremmo voluto venire qui, in tribunale, ma l’aggravarsi della situazione ci ha imposto questa scelta”, spiega Alfano. Il segretario del Pdl accusa i magistrati di voler dare una mano alla sinistra “eliminando per via giudiziaria Berlusconi” proprio mentre sono in corso le trattative istituzionali per formare il governo.
Oggi, con le rivelazioni del giudice Amedeo Franco, relatore della sentenza Mediaset, si scopre, in maniera definitiva, che Berlusconi fu condannato ingiustamente da un plotone d’esecuzione. Dopo la sentenza, il dottor Franco incontra Berlusconi e commenta la sentenza e l’andamento del processo. “Berlusconi non era solo, quando incontrò Franco, c’erano dei testimoni a questo colloquio, e uno dei testimoni registrò”. Gli avvocati di Berlusconi sostengono che in questi anni non hanno usato la registrazione per rispetto del magistrato, che era rimasto in attività. L’altr’anno però il dottor Franco è morto, e ora gli avvocati di Berlusconi hanno deciso di usare la registrazione e l’hanno depositata nel ricorso alla Cedu.
Nella registrazione Franco spiega: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo…”.
E proprio in quei giorni interviene – come spesso e volentieri accade – anche l’Associazione nazionale dei magistrati. “Il fine della magistratura non è politico, la legittimazione della magistratura non si fonda sul consenso ma sulla sua professionalità e credibilità che derivano dal rispetto della legge”, dice il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli.
Parole che, alla luce dei nuovi fatti – ma anche del Palamara-gate – acquistano un nuovo significato.
Non dimentichiamo, infine, che a molti tra i partecipanti alla manifestazione al tribunale di Palermo probabilmente quella vicenda costò qualche guaio giudiziario. Proprio Alfano, nel frattempo divenuto ministro dell’Interno nel governo Renzi, è accusato di aver fatto trasferire a Isernia l’allora prefetto di Enna, Fernando Guida. Non solo. La moglie, Tiziana Miceli, finisce in un vortice mediatico perché accusata di aver preso cinque consulenze alla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia.
Il 5 luglio 2016 viene resa nota un’intercettazione effettuata nell’ambito dell’indagine che porta alla luce una rete di tangenti tra politici, enti e ministeri. In una delle conversazioni è citato anche il ministro dell’Interno. La vicenda riguarda la raccomandazione del fratello minore del ministro, ossia l’assunzione di Alessandro Alfano nella società “Poste italiane”. Il 25 febbraio 2016 è iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma, il reato contestatogli è l’abuso d’ufficio. Ma viene poi archiviato.
Qualcosa di più pesante è accaduto, invece, all’ex braccio destro di Silvio Berlusconi, Mario Mantovani. La mattina del 13 ottobre 2015, atteso a Palazzo Lombardia per aprire i lavori della “Giornata della Trasparenza”, viene arrestato con l’accusa di abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione per aver truccato gare di appalti relative al trasporto di pazienti dializzati, all’edilizia scolastica e alle case di riposo e per aver fatto pressioni per far assumere persone a lui vicine; i fatti sarebbero stati commessi fra il 6 giugno 2012 e il 30 giugno 2014, quando Mantovani era senatore, sindaco di Arconate e poi assessore alla Salute della Lombardia.
Chissà se anche queste due vicende, insieme a quella di Berlusconi, sono il frutto di una persecuzione giudiziaria.
di Antonio Del Furbo
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