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Autonomia fiscale della Sardegna: un diritto che va preteso

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È stata approvata la proposta di legge che chiede al Parlamento l’istituzione della zona franca integrale, ora tocca a Camera a Senato. Il percorso è pieno di insidie, ma se i sardi riusciranno a essere uniti vinceranno la battaglia.

La Sardegna ha compiuto il suo primo passo ufficiale verso il riconoscimento del proprio territorio come zona franca integrale, come Livigno e Campione d’Italia. Il Consiglio regionale ha infatti approvato, il 6 novembre, la proposta di legge istitutiva dell’autonomia fiscale che modifica due articoli dello Statuto dell’isola. Nella legge si chiede al parlamento di varare il provvedimento di legge costituzionale che istituisce la zona franca nell’isola, assoggettandola alle norme dell’Unione europea, alle leggi dello Stato italiano e alle norme che si applicano ai territori extradoganali. Ora il provvedimento deve essere approvato dalla Camera e dal Senato. Nella legge è stata inserita anche la possibilità per la Sardegna di disporre di agevolazioni, esenzioni e detrazioni d’imposta, anche modificando o azzerando le aliquote, ed è stato approvato un emendamento che dispone che la Regione possa accertare e riscuotere i tributi iva, irpef e accise dopo un’intesa con lo Stato. 

La tappa finale di questo percorso è l’applicazione a tutta l’isola della zona franca integrale, cioè l’esclusione dalla linea doganale per quanto riguarda la legislazione fiscale e doganale. Di fatto si tratta di un diritto già presente nello Statuto della Regione, per esercitare il quale non vi è necessità che si pronunci il Parlamento. Questo perchè la legge regionale n.10\2008 (mai impugnata dallo Stato) prevede che sia compito esclusivo della Regione Sardegna emanare le norme di attuazione della zona franca integrale, compresa la zona franca al consumo e i relativi diritti speciali, attraverso i quali è possibile eliminare l’iva e le accise sui prodotti consumati dagli isolani e dai turisti.

UN’ISOLA ALLO STREMO

L’autonomia fiscale è diventata l’unica speranza di sopravvivenza di un’isola che è allo stremo, con un’economia messa in ginocchio dalla chiusura delle grandi industrie e dai continui licenziamenti, con una perdita totale di oltre 75 mila posti di lavoro. In Sardegna il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 16,4%, uno dei dati più alti degli ultimi dieci anni e si assiste a una dispersione scolastica del 25,5 nel 2012 (era del 21,8 nel 2007), di ben 12 punti superiore alla media europea. Manca la prospettiva di un futuro, e i giovani scappano all’estero o “in continente”, cioè nella penisola, appena possono. Per un’isola che ha solo 1.637.846 abitanti (Istat 2012) questa fuga rappresenta la prossima desertificazione.

“Noi abbiamo un primato unico al mondo, negativo: su un territorio così grande come è la Sardegna siamo soltanto un milione e seicentomila persone. Cioè siamo l’equivalente di un quartiere di Roma, di Napoli. Abbiamo la densità demografica più bassa al mondo. Una densità così bassa esiste solo al Polo sud, al Polo nord e all’Equatore – spiega ai giornalisti (video integrale su www.sardegnanotizie.org) Maria Rosaria Randaccio, fiscalista e infaticabile rappresentante e portavoce del Comitato promotore della Zona Franca – E siamo così pochi perché non ci hanno dato quello che ci spetta: il diritto a vivere, possiamo solo sopravvivere con le “elemosine”, la cassa integrazione, gli aiuti di stato, gli aiuti della comunità europea, ma dobbiamo essere sempre servi di qualcuno. Noi dobbiamo sempre tendere la mano. Invece con la zona franca non chiederemo più l’elemosina, rivendichiamo i nostri diritti a esistere, ed essere imprenditori di noi stessi, con quelle esenzioni fiscali che spettano nel mondo, in Europa, in Italia, alle zone franche. Come noi rispettiamo le leggi anche lo stato rispetti i nostri diritti che ci vedono essere zona franca da 64 anni”.  

UN DIRITTO ACQUISITO

Il diritto a essere zona franca è infatti già presente nell’articolo 12 dello Statuto della Regione Autonoma Sardegna e non necessita di alcuna modifica. È riconosciuto dall’Unione europea che prevede anche i casi nei quali la zona franca deve essere concessa.

“Nelle norme comunitarie – spiega la leader del comitato, che insieme a Francesco Scifo è referente tecnico-giuridica per il progetto – si dice che bisogna concedere le zone franche come compensazione ai problemi che ha quel territorio e l’Unione europea individua anche quali sono questi disagi che bisogna compensare. Nel nostro caso questi disagi sono: essere un’isola, essere un’isola ultra periferica, essere un’isola spopolata, avere un problema grave di disoccupazione. Questo lo diceva già la Comunità economica europea all’articolo 92 del trattato di Roma e lo dice tuttora l’Unione europea nel Trattato di Lisbona. Cioè l’Ue riconosce già alle popolazioni che vivono in territori disagiati come la Sardegna il diritto ad avere zone franche. Viviamo in un’economia globalizzata, dobbiamo essere competititivi e produrre dei prodotti che costino di meno. Ma non potremo mai produrre qualcosa che costi di meno rispetto a qualunque altra parte del mondo. Il nostro prodotto costerà sempre di più, perché dobbiamo aggiungere i costi del trasporto e le due giornate di lavoro che noi perdiamo di viaggio per andare a vendere quel prodotto”. 

NUOVI POSTI DI LAVORO

La zona franca, invece, permetterà di offrire prodotti competitivi e, soprattutto, di creare nuovi posti di lavoro. E non si perderanno, nello stesso tempo, i contributi statali, pericolo paventato da chi si oppone, anche in maniera pretestuosa, al progetto: “Come si puo’ pensare – tiene a specificare la referente tecnico-giuridica – che lo Stato ci debba togliere i contributi che dà a tutte le altre Regioni che non hanno i nostri problemi, come sostengono alcuni? A noi deve essere dato di più rispetto alle altre Regioni che non hanno i nostri problemi, altrimenti che “compensazione” sarebbe la zona franca?”.

Tutta la Sardegna e tutta l’Italia dovrebbero essere unite in questa battaglia perché, grazie alla sua collocazione strategica nel Mediterraneo, la Sardegna potrebbe diventare una zona che crea vantaggi per tutti. Con un fisco vantaggioso sarebbero molte le aziende che invece di delocalizzare all’estero resterebbero nel nostro Paese, creando lavoro e risollevando l’economia del Paese. In tutto il mondo le zone franche costituiscono un motore trainante delle rispettive nazioni. 

I NEMICI INTERNI

Ma sono in tanti a remare contro e gettare acqua sul fuoco di questo progetto, in primo luogo i rappresentanti del Partito Democratico, preoccupati, dicono loro, dei costi che questo passaggio potrebbe avere per gli isolani. Non a caso la legge è passata sì in Consiglio regionale, ma non con il consenso generale, incassando i voti favorevoli della maggioranza (41 sì) e l’astensione delle opposizioni (26).

“Questa zona franca non esisterà mai perché non potrà essere approvata dal Parlamento italiano – ha sentenziato in Consiglio regionale il fondatore di Tiscali, Renato Soru (Pd) – Le cose che sono scritte sulla legge servono solamente a fare un po’ di propaganda elettorale nei prossimi mesi, quindi non porteranno a niente. Anch’io mi iscrivo tra quelli favorevoli alla zona franca, ma non a tutte le zone franche, e non a questa zona franca. Qui si sta cercando di portare avanti un’idea di zona franca che può piacere a tanta gente, ma che non sta in piedi, e cioè un’idea di zona franca che dovranno pagare gli altri, come accade a Livigno e a Campione. La zona franca la dovranno pagare i sardi, sia per le minori entrate in Sardegna, sia per le minori entrate per lo Stato”. 

Efisio Arbau del Movimento La Base in Consiglio regionale ha sostenuto che “La legge è un mostro in tre parti. Due parti applicabili, sulle quali c’è l’accordo con il governo: taglio delle tasse dell’articolo 10 di competenza regionale e riscossione sempre regionale. E uno messo là solo per fare gazzosa: la Sardegna fuori dalla linea doganale, ma senza accordo per metterlo al voto in Parlamento e quindi chiedere la modifica del codice doganale europeo. La mia astensione e quella dell’opposizione è stato il segno di un lavoro condiviso per due terzi e per rispetto dei comitati che sono stati presi in giro come il sottoscritto. In sintesi: la zona franca immediata non si farà ed io mi sento sconfitto”.

PERICOLO SCAMPATO

I comitati e i sostenitori della zona franca hanno tirato infatti un sospiro di sollievo quando è stato approvato un emendamento all’articolo 1, comma 2, della proposta di legge nazionale n.22, che evitava una modifica dell’articolo 12 dello Statuto regionale, nel quale già si sanciva la futura istituzione dei “punti franchi”, di fatto l’extradoganalità per il codice doganale precedente e attuale. 

“Abbiamo scampato un pericolo, ma io mi auguro che questo sia accaduto in buona fede. Io non voglio credere che abbiamo eletto dei sardi che non vogliono il bene della Sardegna. Io credo che tutto si basi su un equivoco – dice Randaccio sul rischio di modifica dell’articolo 12 dello Statuto– Perché non si conosce che cosa dicono il vecchio e il nuovo codice doganale. Il codice doganale del 1940 diceva che le zone franche, i punti franchi, i depositi franchi sono extradoganali. Anche l’articolo 2 del dpr 43 del 1973, attuale codice doganale, dice che le zone franche, i punti franchi, i depositi franchi sono extradoganali”. Quindi c’è già tutto, perché apportare cambiamenti e chiedere modifiche che rischiano di cancellare questo diritto?”

“A noi sardi non è mai interessato ottenere la modifica dell’articolo 12 del nostro statuto – spiega ancora Randaccio – in quanto abbiamo sempre ritenuto che eventuali modifiche del testo storico, se apportate ad arte o in modo maldestro, come stava per accadere, avrebbero potuto inficiare il diritto del popolo sardo alla zona franca integrale, compresa la zona franca al consumo, estesa non solo alla zona franca dei porti ma all’intera isola.Se fosse passata la modifica dell’articolo 12 del nostro Statuto presentata in consiglio regionale dall’opposizione, e se malauguratamente il Parlamento italiano l’avesse fatta propria, possiamo garantire con estrema certezza che il nostro diritto alla zona franca l’avremmo perduto per sempre o quanto meno per altri 64 anni”.

“Noi – aggiunge – abbiamo la legge comunitaria sulle zone franche che regola tutti gli istituti franchi in Europa. E questa legge dice che qualunque nome si dia loro, per zone franche si intendono vasti territori comprensivi di città e villaggi dove gli abitanti non pagano né dazi doganali né iva, né accise”. 

I COMUNI GIÀ ZONA FRANCA

Sono già 283 su 377 i Comuni sardi che hanno deliberato a favore della zona franca al consumo, tra i quali Cagliari, Olbia e Sassari, e che ora si stanno organizzando per emanare le norme gestionali e operative. Già da subito quindi, secondo la fiscalista, i commercialisti possono applicare le disposizioni Ue che regolano le zone franche dell’Europa recepite nel dpr n.633/72 ed emettere fatture “non soggette ad imposta” iva, secondo le regole stabilite anche nell’ultima Legge di stabilità. Nei Comuni che sono zona franca in luogo dell’iva si applicano i “diritti speciali”, applicati con aliquote dallo Stato sulle varie merci, che costituiranno maggiori entrate nelle casse comunali per l’offerta di più servizi ai cittadini. 

Quello che noi pensiamo è che la zona franca deve essere estesa all’intera isola. Il Parlamento deve prendere atto di questo diritto, mai fatto valere in 64 anni. Ma i sardi devono essere uniti e compatti in questa occasione, ne va della loro stessa sopravvivenza. Non è questo il momento delle divisioni. O la zona integrale verrà concessa o i sardi se la prenderanno in ogni caso, perché è già nello Statuto. 

 

Elle Driver

 

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