Di chi sarà il nuovo 25 aprile? A chi apparterrà la nuova Liberazione? Chi porterà nel cuore quei cittadini, lavoratori che con uno “sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine” portarono alla resa dei fascisti? Chi urlerà in piazza: “Arrendersi o perire”?
Difficile dirlo, facile approssimarlo. Oggi, come ogni anno accade dal 1945, riempiamo la nostra bocca di parole, di “romanzi” di vita che vorremmo e che, probabilmente, non avremmo mai. Da un lato il sogno, la speranza, in certi casi l’evocazione; dall’altra la realtà, il non sapersi adattare a una vita di cose semplici, di valori che hanno fatto grande l’Italia. Quell’Italia che ha combattuto fascisti e nazisti, quell’Italia della Brigata Maiella che si mosse tra monti, pianure e colline e che riconsegnò, insieme al Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e agli alleati, la dignità al popolo italiano.
Chi avrà l’onore di riportare sulle spalle il dolore e la speranza di quegli anni? Chi segnerà questo tempo per far capire alle generazioni future che, in realtà, un po’ di voglia di democrazia e di libertà ce l’abbiamo ancora?
Oggi, nel grande globo del liberismo, non abbiamo spazio per l’umanità, per le virtù perché, semplicemente, sono elementi che non fanno Pil. Se applicate rischierebbero di portare un sistema spregiudicato al suo stesso fallimento. Chi si assumerebbe, dall’interno, la responsabilità di spingere verso il burrone un sistema infettato? Nessuno. Eppure la sete di verità, di democrazia, di libertà c’è oggi più di ieri. Ci sarà domani ancor più di oggi. Stiamo andando, senza accorgercene, verso una nuova dittatura: quella dell’ignoranza.
L’individualismo, già da tempo, ha lacerato i nostri rapporti e la visione sul mondo. Saremo prossimi, forse non a breve, a occupare quei lager della finta democrazia, dove qualcuno, magari i governi, ci diranno che le nuove regole sono l’avanguardia.
Ecco, allora dovremmo capire che, probabilmente, ai nostri figli non stiamo donando nulla, e mai lo faremo.
Non c’è voglia di strappare ai governanti quegli spazi di libertà che ci stanno negando. Non c’è voglia di combattere per un ideale perché, anche qui, li abbiamo rimossi tutti. Dietro l’angolo abbiamo lo spettro della povertà, di colossi globali che manovrano governi (tutti i governi) ma noi attendiamo che qualcuno, un giorno chissà quale e chissà quando, venga a salvarci.
E se pensiamo questo abbiamo già tradito quei partigiani che quell’8 settembre del 1943 gridavano: “Arrendersi o perire” perché stiamo spalancando le porte a un nuovo podestà.