Già a luglio scorso l’Arcelor Mittal aveva vinto la partita con l’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, sulla vicenda dell’Ilva. La multinazionale poteva recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – se si fossero presentate una serie di ipotesi.
Il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza chiaro. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.
L’articolo 27
Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Proprio in quell’articolo ArcelorMittal spiega i termini dell’accordo. “Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto”.
La non punibilità
Se fosse stata cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto, Arcelor Mittal avrebbe restituito le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa. Così com’è accaduto.
Nel contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: “L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale”. E, infatti, qualora cambiasse il piano ambientale, con la conseguente ricalibratura dell’attività economica, di nuovo ArcelorMittal potrebbe restituire le chiavi.
L’accordo del Governo Gentiloni
Un contratto che ha avuto due nomi in politica: Paolo Gentiloni e Carlo Calenda, quest’ultimo ministro dello Sviluppo economico dell’epoca. Ed è con l’accordo di modifica del 14 settembre 2018, quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte e al ministero dello Sviluppo economico c’era Luigi Di Maio, che Arcelor Mittal blinda la sua posizione.
Dopo quella data l’attuale Governo ha cancellato la non punibilità. Adesso, dopo averlo fatto, sta discutendo con ArcelorMittal su come fare a rendere comunque praticabili i lavori ambientali, senza che la loro realizzazione provochi l’imputazione all’impresa e al suo management di problemi causati da altri, in passato.