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Correva l’anno 2015, esattamente il primo febbraio, quando Il Fatto tirò fuori la vicenda del fratello del presidente della Repubblica, Antonino Mattarella. Si parlò di intrecci con la Banda della Magliana.

di Antonio Del Furbo

Antonino Mattarella, classe 1937, avrebbe fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana”, Enrico Nicoletti che non aveva nessuna difficoltà nel parlare con Giulio Andreotti. Nicoletti faceva affari giganteschi, come la costruzione dell’università di Tor Vergata.

Tre anni fa si scoprì che nel 1992 Nicoletti prestò 750 milioni di vecchie lire al fratello del presidente della Repubblica. Il Tribunale di Roma, oltre al sequestro preventivo del patrimonio di Nicoletti, nel 1995 si occupò anche dei rapporti tra Nicoletti e l’avvocato Antonino Mattarella. Nell’ordinanza del giudice venne descritta la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, attraverso una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.

Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti e il palazzo è stato confiscato definitivamente dallo Stato.
 
“Davvero allarmanti le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione – scrivono i giudici – Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento. La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”.
 

“La legge fallimentare – scrive il Fatto – cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso. Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico. Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.

La Cofim non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata.

“In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappini, uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura. “In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’ordine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società, a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nicoletti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno). ”L’assegno citato – concludono i giudici di Roma – risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.

I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri. “A tal proposito – scrive il Tribunale – viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella”. Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: “in data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr). Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (…).”

In una lettera aperta, Antonino Mattarella diede la sua versione dei fatti, pur ammettendo di aver preso i soldi.

“I movimenti di assegni segnalati nell’articolo (e altri) avevano origine da operazioni di prestiti a tasso particolarmente elevato” ricevuti dal Nicoletti, noto operatore del settore (peraltro presentatomi, a suo tempo, da persona al di sopra di ogni immaginabile sospetto: un cancelliere del Tribunale di Roma), in ragione di difficoltà finanziarie nelle quali ero venuto a trovarmi per alcune operazioni immobiliari avviate in società con terze persone, per le quali avevo prestato garanzie personali, a cui ho dovuto far fronte in prima persona, con i proventi della mia attività professionale. Tutti i miei titoli rilasciati al Nicoletti per le operazioni di “prestito” sono stati da me pagati e, comunque, dette operazioni sono tutte successive alle vicende del fallimento Stirpe. Quanto all’immobile cui si fa riferimento, la ricostruzione dei fatti è totalmente errata.

Quando è stato dichiarato il fallimento Stirpe, l’immobile in questione era già nel patrimonio del Nicoletti in quanto lo stesso aveva ottenuto il trasferimento di proprietà prima della dichiarazione di fallimento in compensazione di crediti vantati con il debitore poi fallito. Dopo avere esaminato la documentazione, nella mia qualità di curatore fallimentare, ho ritenuto opportuno proporre il giudizio per l’azione revocatoria, l’esito del quale è stato favorevole al fallimento per cui il bene ritornava nella massa attiva. La difesa del Nicoletti (assistito da professionista di chiara fama) ha proposto appello avverso la decisione di primo grado. Nelle more è stata avanzata una proposta transattiva che prevedeva la rinuncia da parte del fallimento alla sentenza favorevole contro versamento della somma di 150.000.000 di lire, ferma restando la cancellazione dei debiti pregressi dello Stirpe a suo tempo compensati con il trasferimento del bene. La proposta transattiva è stata sottoposta al comitato dei creditori che ha espresso parere favorevole ed è stata approvata dal giudice delegato cui spettava la decisione (e non al curatore).

Quindi il prezzo pagato dal Nicoletti per l’immobile non è stato di 150 milioni, come riportato nell’articolo, ma a questa somma va aggiunto quanto compensato con la precedente operazione di acquisizione del bene prima del fallimento come si potrà accertare dalla documentazione relativa al fallito. Nelle more delle appena citate procedure per la formalizzazione della transazione, il giudizio di appello è andato avanti e rimesso al Collegio per la sentenza. Completate le formalità di approvazione dell’accordo transattivo, il Nicoletti ha versato l’importo concordato. Subito dopo è stata depositata la sentenza d’appello che, in accoglimento del ricorso del Nicoletti, ha rigettato la domanda in revocatoria proposta dalla curatela e accolta in primo grado! In conclusione, se non fosse intervenuta e definita la transazione con l’incasso di quanto concordato, il bene immobile, in seguito alla decisione dell’appello, sarebbe rimasto nella piena proprietà del Nicoletti senza l’esborso ulteriore di 150 milioni ottenuto con la transazione. Posso affermare che sono stato l’unico curatore fallimentare (o uno dei pochi) a proporre una azione revocatoria nei confronti del Nicoletti (nonostante i consigli contrari) e di aver definito con vantaggio per la curatela una vicenda nata da prestiti usurari risolti con acquisizione di un bene (prima del fallimento).”
 

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