“Dopo che ho perso un figlio potete solo ridere se mi ammazzate. Se ci sta qualcuno che ha il coraggio che lo facesse. Ho anche lasciato una carta scritta a casa mia che non devono manco denunciarvi se mi ammazzate”.
di Antonio Del Furbo
Queste alcune delle parole pronunciate da Alessio Feniello, il papà di Stefano, morto con altre 28 persone sotto l’hotel Rigopiano, durante un blitz in un ristorante di Montesilvano (Pe). Nella sala era stato organizzato un evento a sostegno di Luciano D’Alfonso, presidente della Regione Abruzzo e candidato al Senato.
Feniello ha cercato l’ennesimo confronto con D’Alfonso che però è arrivato solo più tardi, quando Feniello è stato allontanato dai carabinieri.
Nonostante gli organizzatori avessero punutalizzato che l’incontro era privato e su inviti, Feniello è rimasto in sala urlando e apostrofando D’Alfonso con insulti e parolacce. L’intero blitz è stato visto in diretta su Facebook.
Dopo circa 20 minuti sono arrivati i carabinieri che, dopo aver fatto uscire tutti i partecipanti al buffet, hanno proceduto alla perquisizione di Feniello.
“Mi stanno arrestando”, ha gridato l’uomo mentre uno dei militari gli chiedeva di posare le mani sul tavolo.
In questa triste vicenda ognuno ha la propria responsabilità. Sul drammatico evento di Rigopiano la colpa più grande ce l’ha sicuramente la politica, soprattutto dal punto di vista morale. Grandi colpe ce l’hanno quelli che dovevano vigilare e non l’hanno fatto. E saranno i tribunali ad accertarne le responsabilità.
Un obbligo morale, però, ce l’ha anche il presidente D’Alfonso che dovrebbe ricevere la famiglia Feniello e semplicemente ascoltarla. Lo Stato, poi, non dovrebbe permettere scene del genere che, secondo me, lede la dignità di chi le fa e di chi le subisce.
La famiglia Feniello non dovrebbe essere lasciata sola ma essere aiutata. Perché, fino a prova contraria, siamo in uno stato di diritto. Al netto delle tifoserie e di chi usa la vicenda di Feniello per politica.