Sulle acque cupe di questo lago, dalle tinte del piombo, si materializzano le figure dei neonazisti. Con i loro crani rasati e i 12 raggi tatuate sul collo.
A Dongo sfila la galassia nazifascista. Una ventina di individui, tutti provenienti da Varese, emergono sulla scena, rendendo ancor più inquietante il panorama già carico di tensione. Si uniscono al gruppo vestito di nero, che aspetta pazientemente nel luogo preciso in cui 16 gerarchi fascisti furono giustiziati nel lontano 28 aprile 1945, su ordine del Cln Alta Italia, per i loro crimini di guerra.
A pochi chilometri di distanza, verso Como, si svolgeva l’epilogo fatale di Benito Mussolini e Claretta Petacci, di fronte al cancello di una villa a Giulino di Mezzegra. È in questi luoghi carichi di storia che si rinnova il pellegrinaggio funebre dei fascisti e, a partire da quest’anno, anche dei neonazisti. Sulle rive del Lago di Como, attratto dal vorticare di forze dell’ordine, bandiere nere e aquile dorate.
L’atmosfera è carica di simbolismo durante la cerimonia, che si apre con il rituale paramilitare dell’“Onore ai caduti”.
Gli spettatori casuali, come un gruppo di anziani americani sotto un ombrello, rimangono perplessi di fronte a questa rappresentazione, mentre una pioggia incessante non smorza lo stoicismo dei partecipanti. L’obiettivo dichiarato è quello di onorare i caduti, un obiettivo che sembra motivare profondamente i presenti, molti dei quali giovani.
L’antifascismo si fa sentire con la presenza del presidio antifascista di fronte al municipio, composto da rappresentanti di Anpi, Cgil, Arci, Movimento 5 Stelle e Uil, provenienti da varie città come Milano, Lecco e Como. Le forze dell’ordine, con i loro veicoli blindati, presidiano la zona, pronte a intervenire se necessario, ma fortunatamente non si rende necessario alcun intervento violento.
La cerimonia prosegue con la deposizione di corone d’alloro da parte di due donne, una delle quali finisce per scivolare nel fango ma riesce a riprendersi. Le rose vengono legate alla ringhiera che ancora porta i segni della fucilazione avvenuta molti anni prima. Il tutto si svolge sotto lo sguardo attento e le facce imperturbabili dei partecipanti, mentre la pioggia continua a cadere incessante.
Dall’altra parte della piazza, risuonano le note di “Bella Ciao”, alternate al coro di “ora e sempre, Resistenza”.
Albertina Soliani, vicepresidente di Anpi e ex senatrice del Partito Democratico, si fa portavoce dei valori dell’antifascismo, sottolineando la distinzione tra l’onore dell’Italia e la vergogna del fascismo. Si ricordano gli atti di resistenza compiuti anche in queste terre, dove le Brigate Nere assassinarono il comandante partigiano Luigi Paracchini.
La giornata prosegue con la celebrazione della messa nella chiesa di Tremezzina. Si riuniscono i “combattenti e reduci della Rsi” provenienti da varie città del nord Italia. La messa è accompagnata da canti e musiche sacre, mentre l’omelia del sacerdote invoca la pace, ricordando anche “il nostro fratello Benito”, sebbene il suo tono neutro non trovi consensi unanimi tra i presenti.
La cerimonia raggiunge il suo culmine nel luogo dove Mussolini e Petacci furono giustiziati, con la deposizione dell’ultima corona d’alloro davanti al ritratto del Duce. Le braccia si alzano in un saluto romano, mentre alcuni partecipanti commossi ricordano il loro “fratello Benito”. Tuttavia, la narrazione della storia non è priva di controversie. Con alcune voci che rifiutano di riconoscere la disfatta di Mussolini e la sua fuga verso la Valtellina travestito da soldato tedesco.
La cerimonia si rivela un intreccio di emozioni contrastanti, simboli del passato e riflessioni sul presente politico e sociale dell’Italia. Mentre i partecipanti si separano e si dirigono verso le proprie città, resta il ricordo di una giornata carica di significati e di una nazione che continua a confrontarsi con la sua storia e il suo futuro.