È partita la ricerca finanziata dall’Università di Bologna nella regione dove nel 2007 furono chiusi i pozzi inquinanti da un ex industria chimica: rifornivano centinaia di migliaia persone. Si tratta di una delle prime indagini epigenetiche in Italia. “Cercheremo di capire se l’esposizione alla contaminazione ha lasciato tracce”.
L’anno era il 2007 e in Abruzzo centinaia di migliaia di persone appresero con sgomento di avere bevuto per almeno due decenni acqua contaminata: il campo pozzi di Colle Sant’Angelo, a Bussi sul Tirino (Pescara), venne chiuso dopo la scoperta che le falde erano state inquinante. Più tardi si accerterà della presenza di solventi clorurati provenienti dall’area della ex Montedison, un polo industriale dismesso nato agli inizi del Novecento, definito dopo la scoperta dei veleni “la più grande discarica chimica d’Europa”.
La ricerca
Durerà dodici anni e verrà condotta sulla popolazione da un team di ricerca dell’Università di Bologna a partire dal prelievo del Dna di 92 volontari – una delle prime ricerche in campo epigenetico in Italia – che indagherà sull’impatto che quella esposizione, lunga 25 anni, ha avuto su chi ha bevuto quell’acqua.
Il progetto
Lo studio italiano, denominato “Interazione uomo-ambiente: contaminazione da solventi clorurati e impatto sui profili epigenetici (metilazione del Dna) nella popolazione Italiana”, nasce da un progetto Almaidea di Cristina Giuliani, una giovane ricercatrice che ha ricevuto dall’ateneo i fondi necessari per condurre l’indagine, ed è stato presentato sabato 26 ottobre nel corso di un convegno a Rosciano, uno dei Comuni a ridosso dei pozzi contaminati. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con l’amministrazione comunale, l’Arta e la Stazione ornitologia abruzzese, che da anni segue le vicende dell’inquinamento del territorio. “Nel corso dei nostri studi – spiega Alessandro Gargini, direttore del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna e consulente del Ministero dell’Ambiente nell’ambito del procedimento penale sull’inquinamento di Bussi – abbiamo dimostrato che la tipologia di inquinanti identificati nella discarica di Tre Monti era la stessa individuata nel campo pozzi Sant’Angelo, a circa due chilometri di distanza, e che l’acqua conteneva solventi clorurati. Una concentrazione non elevatissima, ma al limite, perché la Val Pescara è molto ricca di acqua sotterranea, e per fortuna gli inquinanti si diluiscono. Ma tale per cui, se quell’acqua è stata bevuta per anni, esiste la possibilità di rischi sulla salute. Ora proveremo a capire se è possibile individuare effetti di tipo epigenetico sulle persone che vivono nei Comuni coinvolti”.
L’indagine “Sentieri”
A giugno scorso l’Istituto Superiore di Sanità commentando “l’indagine epidemiologica ‘Sentieri’” fatta “per il sito nazionale di Bussi (Pescara) contenuti nel 5/o rapporto sulla salute della popolazione di 45 siti nazionali di bonifica, il primo che comprende anche i dati per l’area abruzzese” diceva che “I risultati evidenziano tra i residenti nel sito eccessi, rispetto al resto della popolazione regionale, di specifiche patologie per le quali l’esposizione a contaminanti presenti nelle acque potabili può aver giocato un ruolo causale o concausale, e di patologie a carico dell’apparato respiratorio”. “Nel documento” precisava il Forum H2O “si sottolinea che la principale fonte di rischio in questo sito è rappresentata dal consumo di acqua potabile distribuita dall’acquedotto Giardino che ha utilizzato, miscelandole, anche le acque emunte da pozzi contaminati dall’attività industriale”.