È convinzione, ormai, che per aiutare il genere umano a rallentare il riscaldamento globale, oltre a ridurre la produzione di rifiuti, sia necessario un ripensamento delle abitudini alimentari, proprio partendo da un minor utilizzo di carne.
Sotto accusa sono gli allevamenti che hanno un grande impatto sull’ambiente.
A dirlo è l’Organizzazione delle nazioni unite. Dall’altra parte, però, c’è chi pensa una cosa uguale e contraria: è il veganesimo a produrre grossi danni. Ci sono libri e autori che spiegano come che mangiare una lattuga contribuisce al triplo di emissioni di quelle prodotte servendosi di bacon.
Indice puntato contro quinoa e anacardi
Matteo Leonardon, su Thevision, spiega che c’è mancanza di etica nella scelta della dieta vegana, a partire da alcuni esempi. “La quinoa è considerata uno degli alimenti più nutrienti in natura ed è utilizzata di frequente nelle diete vegane per l’alta concentrazione di proteine che contiene; viene coltivata nei due Paesi più poveri del Sud America – Perù e Bolivia – e da quando è stata scoperta nelle “diete etiche” ha completamente stravolto l’esistenza degli abitanti di entrambi i Paesi. Dal 2006 al 2011 il prezzo della quinoa è triplicato, fino a raggiungere i 3mila euro la tonnellata, ma alcune varietà più pregiate – rossa real e nera – possono superare i 4mila e gli 8mila euro”. Per il 40% importati dal Vietnam, “Secondo un dettagliato reportage di Human Rights Watch, gli anacardi vietnamiti provengono quasi totalmente dal lavoro forzato nei centri di recupero per tossicodipendenti condannati”.
I modelli di produzione
Nessuna delle due è strettamente legata alla dieta che fa a meno di carne. Lo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto nei paesi con scarsa tutela dei diritti, è un destino comune a tutti i settori: tessile, edile, agroalimentare. I danni, invece, relativi alla monocoltura di vegetali esotici divenuti di moda in Occidente e in generale nei paesi ricchi, ha a che vedere con il sistema di produzione. La monocultura, utilizzata per l’alimentazione in voga tra i vegetariani, crea sempre squilibri nei sistemi produttivi in cui diventa maggioritaria, soprattutto in aree povere del mondo.
E l’ambiente?
Secondo Water FoodPrint, l’impronta idrica della carne bovina è pari a 15 400 litri per kg, mentre il grano si ferma a 1827, e la lattuga a 240. Secondo la Lav, invece, “scegliere di non mangiare una bistecca (500gr) una volta alla settimana per un anno per salvare: 910mq di foresta, 390kg di cereali, 403.000 litri d’acqua, 936kg di C02”. La quantità di carne che si produce con tutta l’acqua che consuma una famiglia media americana in un anno si ferma a 5 chili.
L’allevamento e non solo…
Al di là dei dati contrastanti, l’impatto ambientale della produzione di carne, deve calcolare l’impronta non solo in allevamento, ma quella legata alla produzione di mangime. Per produrre una bistecca da 500 grammi, servono 7,5 chili di cereali come mangime e la metà dei cereali prodotti nel mondo sono coltivati solo per essere mangiati dagli animali.
La salute
In linea di massima i nutrizionisti sono d’accordo nel ritenere che per una persona adulta, non vi sia nessuna controindicazione dal punto di vista dell’organismo nell’evitare le proteine animali che non possa essere aggirata con una dieta ben calibrata a base di verdure, cereali e legumi. Problemi ci sono se si vuol far crescere un bimbo senza assumere carne e derivati animali.