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Quando tutti erano lì a scrivere della Brianza come il punto nodale del raccordo criminoso tra mafia del sud e mafia del nord qui, su Zone d’Ombra, scrivevamo semplicemente che i giudici avevano preso un abbaglio.

Non solo. A prendere un fortissimo abbaglio anche gli stessi inquirenti che quel 26 settembre 2017 mandarono sui cieli della Brianza elicotteri che svolazzavano “ad altezza uomo” quasi avessero scoperto i rifugi dei più efferati boss delle mafie internazionali. I togati parlarono di traffico internazionale di droga, di corruzione. Pm in giacca e cravatta, lucidati per l’occasione, raccontarono a microfoni e telecamere spianate di personaggi lombardi legati a doppio filo con la peggiore Calabria. Il pasto messo in bocca al popolino fu quello di un collegamento molto marcato tra Seregno e la ‘ndrangheta.

Giustizialismo

Finirono nel tritacarne giustizialista, tra gli altri, l’allora sindaco di Forza Italia, Edoardo Mazza. L’accusa per lui fu di corruzione perché avrebbe favorito gli affari di un noto costruttore ritenuto legato alle cosche, interessato in particolare alla costruzione di un centro commerciale. Si parlò di un flusso di favori per “acquistare voti” e tenere in pugno la Seregno economicamente florida.

Fatti talmente gravi da far scindere l’inchiesta in due anime: una criminale, di droga ed estorsioni e una tutta politica a cui si arrivò seguendo la prima. Inchieste che dimostrarono, secondo il procuratore aggiunto della Dda di Milano Ilda Boccassini “la facilità estrema della ‘ndrangheta di infiltrarsi nel tessuto istituzionale”. Parole pesanti, molto pesanti che portarono i carabinieri del Comando provinciale di Milano a eseguire gli arresti alle prime luci dell’alba nelle province di Monza, Milano, Pavia, Como e Reggio Calabria. In tutto, 27 misure cautelari: 21 in carcere, 3 ai domiciliari e 3 interdittive, firmate dai gip Pierangela Renda e Marco Del Vecchio. Le accuse: associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni, danneggiamento (tutti aggravati dal metodo mafioso), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale.

Tutto sbagliato, o quasi

Peccato che due mesi dopo il Tribunale del Riesame scrisse che ci fu:“Carenza di gravità indiziaria, non risultando comprovati né la illegittimità del procedimento amministrativo né l’intervento tra le parti di un accordo corruttivo”. Motivazioni con il quale il Tribunale, sostanzialmente, stroncò l’indagine della Dda di Milano.

“I singoli profili di illegittimità del procedimento amministrativo ravvisati dal gip sulla base delle indicazioni provenienti dal consulente tecnico del pm appaiono di dubbia sussistenza e non emergono nemmeno dal contenuto delle conversazioni intercettate”. Anzi, “non sembra che i pubblici dipendenti riservino un particolare trattamento di favore a Lugarà, essendo numerose le conversazioni in cui, a fronte di proposte di semplificazione, i predetti ribadiscono la necessità di procedure più complesse ed articolate”.

E sul voto di scambio il Tribunale del Riesame aggiunse che le fonti di prova del gip “appaiono idonee esclusivamente a comprovare una condotta di per sé legittima di appoggio elettorale imputabile a Lugarà”.

Non tutto era finito

Ma la questione non era finita lì. Si scoprì, infatti, che alcune intercettazioni telefoniche furono state trascritte in maniera errata tali da portare alle dimissioni dell’intero Consiglio comunale di Seregno e alla nomina di un commissario prefettizio. “L’intera indagine si basa su una consulenza tecnica di un architetto nominato dalla Procura e sul massiccio ricorso alle intercettazioni telefoniche” spiegò l’avvocato Ricci. “Non esistendo intercettazioni fra Lugarà, il sindaco Mazza e i funzionari comunali in cui emergano atti contrari ai doveri d’ufficio finalizzati all’ottenimento delle autorizzazioni – affermò Ricci – gli investigatori sono ricorsi ad una intercettazione fra due assessori”.

“Seregnopoli”

Tutto finito? Manco per niente. Mentre i giornaloni continuavano a parlare di “Seregnopoli” e di mafia, qui su Zone d’Ombra continuavamo a scrivere di distorsioni fin troppo evidenti rispetto all’inchiesta. Il 30 gennaio del 2018 dicemmo, nell’articolo Seregno: quella triste storia di arresti per ‘ndrangheta. Che non c’è” che la mafia, appunto, non c’era. E non eravamo i soli a dirlo perché in quei mesi a indagare su tutta l’inchiesta, c’erano gli ispettori del Ministero dell’Interno allora guidato dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti. I risultati di quella indagine ministeriale, però, furono resi noti il 2 aprile del 2019 dal sindaco del comune brianzolo, Alberto Rossi, che, durante il consiglio comunale ne diede lettura.

A Seregno non c’era la mafia: un anno dopo la nostra denuncia, l’informativa del ministro dell’Interno lo conferma

Nel decreto, firmato il 10 maggio 2018 da Minniti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 2018 si legge:“Considerato che gli elementi complessivamente emersi non presentano la necessaria congruenza rispetto ai requisiti di concretezza, univocità e rilevanza, richiesti dal modello legale di cui al comma 1 del citato articolo 143; visto il comma 7 del richiamato articolo 143, che dispone, nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, che il ministro dell’Interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emani comunque un decreto di conclusione del procedimento; visto il decreto del ministro dell’Interno in data 4 novembre 2009, recante la disciplina delle modalità di pubblicazione del suddetto decreto di conclusione del procedimento; decreta che il procedimento avviato nei confronti del Comune di Seregno, ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267, è concluso”.

Dunque, i lavori della commissione evidenziarono che non c’era criminalità organizzata a Seregno.

Non solo il Tribunale del Riesame appena dopo 5 mesi stroncò l’inchiesta della Dda di Milano. A nostra insaputa c’erano anche gli investigatori del ministero che avevano già accertato che a Seregno non c’era la benché minima presenza di mafia. Minniti ordinò al prefetto di Monza e Brianza, Giovanna Vilasi, di esercitare l’accesso al Comune di Seregno per verificare la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso.

Qualche giorno fa l’ex assessore Gianfranco Ciafrone e l’ex segretario comunale Francesco Motolese sono stati assolti “perché il fatto non costituisce reato”.

Ora quanto dovremo aspettare per vedere l’ex sindaco Mazza scagionato dalle accuse? E, soprattutto, sarebbe il caso che il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, buttasse un occhio su tutto quello che è accaduto a Seregno?

di Antonio Del Furbo

Di admin

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