Correva l’anno 2019 quando un sindaco di un paese in provincia di Chieti, con comportamento a dir poco oltraggioso, tanto indignò un deputato della Repubblica al punto da far produrre un’interrogazione urgente indirizzata al ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Giuseppe Finamore, rieletto nel 2018 con il 72% dei voti con una lista civica a Villa Santa Maria, promosse “un progetto di valorizzazione turistica per la realizzazione di oltre una ventina di vie di arrampicata”. Il punto è che, da tutto questo lavoro di valorizzazione, è rispuntata la scritta “Dux” incisa nella roccia.
A pochi chilometri dal misfatto, dunque, si levò alta una voce, quella del deputato abruzzese Camillo D’Alessandro che, dopo la caduta del governo regionale di cui fu sottosegretario, fuggì a Roma a disquisire di tal delitti.
“Salvini intervenga per rimuovere uno dei simboli fascisti, inneggianti a Benito Mussolini, quale scelta consapevole di un Paese democratico che non ammette il riemergere di simboli appartenenti ad un passato che non hanno nulla di storico, né meritano di essere rievocati, da giustificare la scelta dell’amministrazione comunale di Villa Santa Maria” ha urlato dai banchi parlamentari l’onorevole.
L’eco di un’altra voce infiammata dall’orgoglio, si levò dalla vallata incriminata: “Non ho nessuna intenzione di ricoprirla, è una scritta che c’era, e se serve da attrattiva per far venire gente nel mio paese va benissimo” disse il sindaco. Propaganda turistica che al popolo bue costò ben 50mila denari. Di soldi pubblici.
Tutto finito? Manco per nulla. Gli eletti delle fazioni opposte, riempiron le giornate con botte e risposte infinite.
“Tanto premesso -scrisse il D’Alessandro nell’interpellanza- chiedo di sapere se il ministro intenda intervenire per rimuovere uno dei simboli fascisti, inneggianti a Benito Mussolini, quale scelta consapevole di un Paese democratico che ieri, come oggi, non ammette il riemergere di simboli appartenenti ad un passato che non hanno nulla di storico, né meritano di essere rievocati, da giustificare la scelta dell’amministrazione comunale di Villa Santa Maria”.
Che successe ordunque? Nessuno lo seppe.
Intanto, in qualità di giullare di corte, mi limitai a far notar al vigile deputato, che nel quartier del mio paesino, quello in cui passai fanciullezza spensierata, crebbi all’ombra di un più grave simbol fascista: “la faccetta nera”. Sul fascistissimo simbolo, vi si trova ancor oggi epigrafato tal irriverente scritta:
“La classe lavoratrice è la potenza, la speranza, la certezza dell’avvenire d’Italia.”
Altra informazione oso dar al deputato e alla pubblica opinione a compimento di tal discorso. Il simbolo fascista si trova sull’edificio dell’ex caserma dei carabinieri di Palombaro (Ch) e su cui nessun comunista osò sospirar vergogna nei decenni passati. La lotta era dura e senza paura ma al primo maggio si mangiavan fave e si beveva vino nella comunità. E io, si pensi un po’, come tanti son cresciuto a sinistra. Quando, appunto, c’eran contenuti e non spruzzi di antifascismo annacquati da retorica.
di Antonio Del Furbo
La scritta non va rimossa perché fa ormai parte della storia, anche se di un momento buio. Non possiamo ritornare ai tempi della censura, o peggio comportarci come i talebani o l’ISIS, che distruggono i monumenti e le testimonianze storiche solo perché contrari al proprio credo. Queste forme di occultamento della storia, la censura, bendare gli occhi della popolazione verso i fatti accaduti, sono forme di propaganda politica, tipica dei regimi totalitari (come il fascismo). E la democrazia si fa coltivando il senso critico e le coscienze, non con la propaganda.