Si chiama “Brasile Low Cost” l’operazione che ha smantellato un traffico di droga tra il Sudamerica e l’Italia e che sarebbe dovuto passare dalla Svizzera.
di Antonio Del Furbo
Due uomini, appena scesi dall’Eurocity che li ha caricati a Roma, raggiungono un bistrot in prossimità della stazione di Sion, nel Vallese. “Noi siamo pronti, prontissimi! Stiamo spendendo 4,5 milioni di euro calcola…” spiegano i due al tavolino con un signore. I due hanno contatti diretti con i narcos colombiani capaci di importare tra le 5 e le 7 tonnellate all’anno di cocaina via Brasile. Un solo tassello manca: c’è bisogno di far atterrare un aereo all’aeroporto di Sion.
Dietro l’organizzazione c’è Salvatore Casamonica, il fratello di ‘don’ Peppe detto Bìtalo, ritenuto dagli inquirenti uno dei capi del clan. Per chi non lo ricordasse i Casamonica hanno oltre mille affiliati e un patrimonio stimato in quasi cento milioni di euro.
È proprio Salvatore ad avere a disposizione un cartello colombiano a sua completa disposizione grazie ai contatti consolidati con la criminalità organizzata di altri paesi. Ad affiancarlo c’è un altro uomo: il serbo montenegrino, Tomislav Pavlovic. “Quelli sono tipi che “prendono la pistola e sparano…brutti forti” disse Massimo Carminati, il boss di Mafia Capitale. Con loro anche un albanese, Dorian Petoku, trent’anni.
“Possiamo dirci quello che vogliamo, perché questo non è rintracciabile, si paga 1’500 euro ogni sei mesi per i messaggi che si cancellano dopo sette giorni in automatico. Io con questo parlo con tutto il mondo, non puoi lavorare se non hai questi telefoni”, spiega Salvatore in una delle intercettazioni con i suoi fedelissimi. “Nessuno può entrare nel nostro sistema perché è a uso militare” aggiunge il Casamonica che ha fornito alla sua squadra solo telefoni BlackBerry criptati con sim card olandesi. Tecnologia utilizzata dalla criminalità organizzata che permette, grazie a una modifica del nucleo del sistema operativo, di raggiunge in rete tutti gli altri utenti collegati su una chat crittografata.
L’agente
Sfortunatamente per Salvatore, però, davanti a lui seduto nel caffè di Sion c’è, ufficialmente, un funzionario aeroportuale corrotto pronto ad assicurare il “transito sereno”, ma che, in realtà, è un agente undercover dell’agenzia CRIS, Centrale Romande pour l’Investigation Secrète di Ginevra. E così il grande affare va in fumo.
Indagini che vengono condotte dagli svizzeri, daii militari della Guardia di Finanza di Roma, dai poliziotti sudamericani e dall’agenzia federale antidroga del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Un’operazione che ha permesso alla Direzione Distrettuale Antimafia di arrestare Salvatore Casamonica e altre quattro persone e bloccare l’ingresso in Europa di 7’000 chili di cocaina purissima.
Tutto era pronto
L’accordo fatto, la droga già impacchettata. Salvatore Casamonica per essersi scomodato si sarebbe preso il 20-25% della merce, mentre il resto, una volta arrivato in Italia, sarebbe stato recuperato dai colombiani. Decine di chili di cocaina che Salvatore avrebbe diviso con un’organizzazione camorristica che comanda alla Stazione Garibaldi di Napoli, presumibilmente nell’orbita del clan Mazzarella, e con una ‘ndrina che opera in Lazio.
Il piano iniziale era di far arrivare l’aereo all’aeroporto di Roma Ciampino, proprio nella roccaforte dei Casamonica. In quello scalo hanno un’uscita riservata e preferenziale. Mancava il pilota che avrebbe dovuto portare l’aereo dal Sud America. Casamonica contatta un narcotrafficante francese, in passato detenuto in un carcere di Marsiglia con un suo sodale. Il francese conosce un pilota brasiliano che vive in Svizzera. C’è però il fatto che il francese decide di collaborare con la Guardia di Finanza. Inizia la sua nuova missione da infiltrato nell’organizzazione. Segue passo passo le istruzioni che gli vengono date e tesse la ragnatela. La trappola è pronta.
Porta con sé un pilota, Robert Miller. In realtà è anche lui un agente sotto copertura della DEA, la Drug Enforcement Administration americana. E iniziano a registrare tutto. “Basta che lo sappiamo il giorno prima”, perché non ci sono problemi ad aggirare i controlli a Ciampino, “non serve niente, basta che scendono con i bagagli, noi siamo più del cento per cento, noi lo possiamo fare”, conferma il braccio destro di Casamonica. Lui è Silvano Mandolesi e ha buoni rapporti con criminali napoletani e calabresi che operano fino in Belgio.
Per definire gli accordi se ne vanno sul colle più alto di Roma, in un hotel super lusso con un ristorante tre stelle Michelin. La droga in Sudamerica è già pronta bisogna solo organizzare il viaggio. Pavlovic rassicura, è lui a programmare la partenza dal Brasile e da Santo Domingo “che è come casa mia, è molto facile”.
Qualcosa va storto
“La notizia di questa caxxo di uscita ce l’ha più di qualcuno”, viene a sapere Salvatore che inizia a non fidarsi più della sicurezza dello scalo di Ciampino. Bisogna trovare un’alternativa. Il francese, istruito dalla Guardia di Finanza, dice di aver conosciuto una persona in grado di far uscire la droga dalla Svizzera e portarla a Milano. Le trattative con lo svizzero partono in un caffè alla moda in piazza della Scala. Casamonica chiarisce allo svizzero che ha trovato anche il velivolo, un Gulfstream 5, e gli invia col telefono sicuro le foto dell’aereo e anche dei panetti già pronti con il marchio del cartello ‘BB’. A bordo ci metteranno anche due insospettabili giocatori di calcio muniti di visto. La cocaina sarà nascosta nelle valige e il volo farà uno scalo tecnico a Miami.
Non appena portata la droga da Sion a Milano ci sarà una staffetta: “Se scende a Roma avrà una macchina dietro e una davanti, coperti tutti i caselli, noi abbiamo la gente poi gli rimane un solo casello, il casello di Roma e basta e là c’è gente nostra”, chiarisce Salvatore.
Tutto termina con 5 ordinanze di custodia cautelare in Italia e in Albania.