Pare che i soldi che giravano fossero tanti. Anzi, tantissimi. Dalle tangenti Eni in Nigeria alla corruzione di giudici amministrativi e di un pubblico ministero. E tutto passava nelle stanze del palazzo di giustizia di Siracusa.
Secondo l’accusa, un magistrato dell’ufficio inquirente avrebbe tentato fra l’altro, in combutta con avvocati e imprenditori, di scippare con pretesti e imbrogli a Milano l’inchiesta che coinvolge i vertici Eni, per azzerarla. Un tentativo che non sarebbe andato a buon fine come altri affari su cui, invece, il controllo della “cricca” sarebbe stato totale.
A coordinare l’operazione, i procuratori Maurizio De Lucia e Giuseppe Pignatone. In gioco pure Milano, con il procuratore Francesco Greco e l’aggiunto Fabio De Pasquale. Nel dettaglio l’indagine è sulle presunte tangenti Eni in Nigeria. La competenza della Città dello Stretto nasce dal coinvolgimento di un magistrato del distretto di Catania, Giancarlo Longo, 48 anni, già in servizio a Siracusa e oggi giudice civile a Napoli. Anche Longo, come in precedenza i colleghi Ugo Rossi e Maurizio Musco, era finito nel mirino della giustizia disciplinare.
Eni e Wikipedia
L’inchiesta sul pm di Siracusa è nata grazie all’esposto fatto da otto magistrati dello stesso ufficio. Longo sarebbe stato l’uomo fondamentale grazie alla spregiudicatezza con cui avrebbe finto di interrogare un sedicente teste-chiave della vicenda Eni-Nigeria, come il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi. Il verbale dell’1 marzo 2016, redatto apparentemente nel pomeriggio, era stato in realtà preconfezionato di mattina e consegnato a Longo dal suo amico avvocato Calafiore. Gaboardi, stando a quanto confessato dall’ex cognato, Alberto Castagnetti, si sarebbe reso disponibile a firmare quelle accuse in cambio di soldi, uno stipendio mensile da cinquemila euro. Erano, dice Castagnetti, “testimonianze finalizzate a “sponsorizzare” la sostituzione dell’amministratore delegato di Eni Descalzi a favore di un altro di cui io non ricordo il nome”. Nel verbale i consulenti dei pm avevano trovato un “riferimento ipertestuale”: in sostanza, per scoprire chi fosse il personaggio nigeriano oggetto delle dichiarazioni, l’autore del documento aveva interrogato Wikipedia.
Il complotto degli agenti
Le Procure di Messina e Milano avevano capito che contro l’ad di Eni Claudio Descalzi in realtà la congiura era assai presunta. Lui era infatti indagato da Greco e De Pasquale per corruzione internazionale in Nigeria; implicato pure l’ex vertice della compagnia petrolifera di Stato, Paolo Scaroni. Gli inquirenti presumono che, per accreditare la tesi di un Descalzi vittima di trame oscure, sarebbero state in qualche modo utilizzate le Procure di Trani e Siracusa. Nella presunta azione anche 007 nigeriani e imprenditori iraniani.
“Le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi, convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, consentendo altresì la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni”, ricostruiscono gli inquirenti. Secondo l’inchiesta il giudice Longo “in qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione” e “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”.
Longo avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale per aiutare i clienti di Amara e Calafiore, dai quali avrebbe intascato 88mila euro, vacanze offerte con la famiglia a Dubai e un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta. In cambio dei quali si era messo a loro servizio “a partire dal 2013 e sino ai primi mesi del 2017“. Una “mercificazione della funzione giudiziaria” nell’ambito della quale Longo avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi allo scopo di venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi.
Tre i metodi usati da Longo: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava, legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore; e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”.