In Italia tutto si può toccare, o riformare, ma guai a mettere le mani sulle aziende pubbliche: si rischia la decapitazione. Nel caso della Rai la decapitazione può essere trasmessa anche in diretta.
di Antonio Del Furbo
La questione, si sa, è annosa e nessun politico ha intenzione di risolverla: “mamma Rai” fa sempre comodo alla sinistra, alla destra e ai 5 Stelle. Come dire: un megafono è per tutti.
Così accade, ad esempio, che quando qualcuno non solo apre il coperchio ma comincia a metterci pure le mani dentro, scatta più di un allarme. Prendiamo, ad esempio, il governo Renzi che tentò di accorpare alcune sedi regionali della Rai: insorsero dipendenti e sindacati.Tanto per cambiare. Tra le sedi da chiudere c’era quella abruzzese che però, grazie anche alla mobilitazione della politica, fu salvata.
Per un lungo periodo la speranza per un ridimensionamento della Rai è stata riposta nei 5 stelle che però ora si preoccupano solo di dare numeri sulla par condicio. Sul blog di Grillo si legge:
“La cifra è fra le più alte che sia mai stata registrata in Rai da quando si censisce la par condicio: 42,37%. E’ la percentuale ottenuta da esponenti del Pd nel mese di marzo 2017 grazie a interviste e dichiarazioni in voci rilasciate in programmi giornalisti della rete ammiraglia della Rai, a Rai Uno, guidata da Andrea Fabiano. Una rete (e un Tg) che stando ai dati sulla par condicio sembra che Monica Maggioni e Antonio Campo Dall’Orto abbiano direttamente subappaltato al Pd.”
E ancora:
“Di fronte al 42,37% del tempo di parola concesso al Pd (il 67% considerando governo e altre forze politiche di maggioranza), c’è un misero 3,07% concesso alle dichiarazioni e alle interviste del Movimento 5 stelle, una percentuale analoga (3,63%) per la Lega Nord, qualcosina in meno (2,11%) concesso ai Fratelli di Italia di Giorgia Meloni e un contentino riservato a Forza Italia con l’ 8,61% del tempo di parola. Se un dato simile di Rai Uno fosse stato registrato all’epoca di Silvio Berlusconi al governo, sarebbero insorte le piazze, fioccate le multe e si sarebbe chiesta la testa dei dirigenti Rai.”
Insomma, i grillini sono più preoccupati ad andarci in tv che non occuparsene.
“La Rai è stato il mio più grande insuccesso e mi pesa”. Queste sono state le parole del presidente dell’Authority anticorruzione Raffaele Cantone, riferendosi all’informativa trasmessa riguardo le assunzioni di cui si sta valutando la regolarità alla Procura della Repubblica. Una questione che rimane scottante soprattutto perché non ancora si riesce a far luce sui fatti. Piazzale Clodio ha aperto un fascicolo, per il momento senza ipotesi di reato né indagati. Un nuova inchiesta, dunque, dopo quella già avviata dalla Corte dei Conti del Lazio.
“Abbiamo ricevuto risposte formalistiche sulle assunzioni – sottolinea Cantone – e in audizione Campo Dall’Orto ha risposto in modo parziale”.
L’indagine riguarda il mancato utilizzo dello strumento del job posting nello svolgimento delle procedure di alcune assunzioni di dirigenti esterni e la sussistenza di un’ipotesi di conflitto di interessi nel reclutamento del Chief Security Officer, Genseric Cantournet, che sarebbe stato selezionato dalla società del padre.
In particolare, nel 2016 l’Anac ha contestato l’assunzione di 21 dirigenti esterni, riscontrando irregolarità, conflitti di interesse e il mancato rispetto delle norme. Non contenti, i vertici Rai hanno continuato nella politica di assunzioni esterne anche dopo l’apertura del fascicolo Anac. E non è finita. A fronte di una contestazione aperta dall’authority di Cantone sulla trasparenza in Rai, Viale Mazzini non ha nominato un nuovo Direttore Internal Auditing, ovvero il responsabile che firma il Piano trasparenza dell’azienda, limitandosi ad un incarico ad interim.