Giuseppe Fava, è stato un giornalista, scrittore catanese, autore di romanzi e di opere per il teatro. Aveva una eccezionale capacità di analisi, di guardare oltre i fatti e le apparenze. Era, inoltre, un uomo dallo straordinario carisma. Una personalità affascinante. Pippo Fava scriveva di mafia e potere politico.
di Alessandra Di Giuseppe
Il 28 dicembre 1983 Giuseppe Fava partecipò alla registrazione della puntata di Film Story di Enzo Biagi dedicato a mafia e camorra, il 5 gennaio del 1984 venne assassinato nella sua Catania. Fu ucciso perché in televisione disse al giornalista che lui di funerali di Stato ne aveva visti parecchi e molto spesso gli assassini sedevano sul palco delle autorità.
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Esattamente un anno prima, nel gennaio del 1983, Fava aveva pubblicato unindimenticabile articolo intitolato, I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, articolo in cui descrisse la struttura della mafia negli anni ottanta, organizzata nei suoi tre livelli: gli uccisori, i pensatori, i politici:
“Le prede della mafia si dividono in due categorie perfettamente separate che trovano punti di contatto soltanto in alcune fatali complicità organizzative. L’una categoria raggruppa tutte le tradizionali vocazioni criminali volte al taglieggiamento dell’economia, i cosiddetti “racket”, che controllano quasi tutte le attività economiche di una grande città… Sociologicamente sarebbe forse più esatto definirlo gangsterismo. E qui c’è il salto di qualità, diremmo di cultura criminale, fra le prede mafiose tradizionali di base, mercati, estorsioni, sequestri di persona e le nuove grandi prede che caratterizzano gli anni ottanta ed hanno fatto della mafia una autentica tragedia politica nazionale. Esse sono essenzialmente due: il denaro pubblico e la droga. Il distacco è vertiginoso. E’ come se un grande corpo, un grande animale, lo Stato italiano, mai morto e continuamente in agonia, fosse divorato ancora da vivo.”.
E poi aggiunge:
“In basso c’è un brulicare orrendo di vermi insanguinati, in alto un rapace con il profilo misterioso e terribile dei mostri di Bosch, e gli artigli piantati nel cuore della vittima. Non riesco a trovare un paragone più amabile ed egualmente preciso.”
Questa suddivisione tra “alto” e “basso” richiama alla mente una immagine recente, quella di Mafia Capitale e delle parole del presunto Boss della Cupola capitolina, Massimo Carminati: “Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo. C’è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico“.
L’imputazione di associazione mafiosa nell’inchiesta “Mondo di Mezzo” è fortemente criticata, molti negano l’esistenza di una organizzazione criminale romana «originaria e originale”.
Il negazionismo della mafia è una costante in ogni dove, lo era anche nella Catania di Pippo Fava.
“Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia” affermava nella sua ultima intervista e poneva l’accento sugli intrecci tra mafia e politica: “Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l’Italia”.
Nell’ottobre del 1983,Giuseppe Fava scrisse una memorabile “Arringa in difesa del cavaliere mafioso” in cui indossava la veste (o meglio, la toga!) di difensore di un imputato accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso. In realtà è la descrizione della società italiana, dei rapporti tra la criminalità e politica, con la complicità, intrisa di omertà ed opportunismo dell’uomo comune.
“Io qui voglio parlarvi infatti di società e potere, cioè di questa parte della società, l’unica che conti in questo paese e per la quale l’unica cosa che conti è il potere. Il grande gioco appunto, nel quale ognuno si serve di tutti gli altri…l’uomo politico stringendo accordi col feroce criminale per avere i voti di un territorio, e il criminale cercando a sua volta il banchiere che gli consenta di nascondere migliaia di miliardi della droga, e il banchiere cercando ministri e generali che gli consentano tali gigantesche frodi, e costoro scatenando il terrorismo perché il popolo, travolto dalla paura, continui a concedere la sua stima ai governanti, e costoro a loro volta circuiti dai grandi operatori dei capitali per usufruire ed appropriarsi del denaro pubblico, e a tal fine cercando protezione di magistrati che possano paralizzare, nascondere, inquinare, archiviare, in cambio ricevendo avanzamenti di carriera e potenza, e infinitamente così, i magistrati assolvendo i criminali che danno i miliardi ai banchieri, che a loro volta procurano voti per gli uomini politici, che a loro volta decidono le opere pubbliche e gli avanzamenti di carriera…”
Il grande gioco!
“…Questa è la società che per interesse o paura, inettitudine, ignoranza, stupidità, abbiamo consentito che si costruisse, una struttura dentro la quale un uomo per occupare il suo posto, secondo la sua smisurata o miserabile ambizione, voglia egli essere un professore d’università o un netturbino, primario d’ospedale o infermiere, proprietario di banche o pizzicagnolo, attore di teatro o giornalista di televisione, deve necessariamente stare dentro il potere, assoggettarsi a qualcuno …”
Dentro questa società, egli si domanda, un uomo con un quoziente di intelligenza normale, anche di furbizia cosa fa un uomo per sopravvivere in questa società dove ogni azione o successo dipende dal potere che egli può esercitare, e quindi anche dalla forza, dal prestigio che riesce ad imporre…?
Semplicemente, civilmente, pensa: “perché opporsi? Per difendere cosa, in nome di che, per conto di chi? Questa è la società nella quale mi è stato dato nascere, non l’ho organizzata io, non ho colpa, e poiché non ho l’animo dell’assassino, e però nemmeno quello dello schiavo, allora meglio stare dentro questa cosa, quanto più sorridente e sereno possibile, per capirne perfettamente le regole, applicarle e usufruirne”.
L’avvocato conclude la sua arringa in difesa dell’uomo accusato di mafia, negando qualsiasi responsabilità del suo assistito poiché, dice, “Il mio cliente ha scelto questa soluzione, mi inchino alla sua intelligenza. L’intelligenza è reato in regime tirannico, non certo in democrazia!
Voi dite che costui ha dato quantità di denaro ai politici, uomini di governo, assessori e forse ministri, per averne in cambio appalti pubblici, opere, contributi? E perché gliene fate colpa? Se non avesse dato quelle quantità di denaro avrebbe mai ottenuto quei giganteschi appalti, e memorabili opere, e favolosi contributi? Voi dite ch’egli ha pagato malandrini e criminali perché gli garantissero sicurezza e serenità nel suo lavoro e nei suoi cantieri? E che avrebbe dovuto fare?
E voi mi portate qui, schiacciato dalla tremenda accusa d’essere mafioso, quest’uomo il quale si comporta come tutti gli altri si comportano in questa nazione, come la società lo obbliga a comportarsi, e che ha solo la colpa d’essere ricco e cavaliere…”.
Da Villalba a Palermo (Siciliani-Cronache di mafia). Documentario realizzato da Pippo Fava e Vittorio Sindoni nel 1980
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