Da Nebrodi, Sicilia, fino ad Abruzzo, Campania, Calabria, Puglia ed Emilia Romagna, un nuovo capitolo della criminalità organizzata si sta scrivendo nei campi.
La mafia dei pascoli. Il bottino non è fatto di droga o armi, ma di fondi europei. Per ottenerli, i clan mafiosi affittano vasti ettari di terreno, non per incrementare la produzione agricola o zootecnica, ma per intascare sussidi destinati agli agricoltori e allevatori onesti. Questa è la “mafia dei pascoli”, un sistema di corruzione che intreccia mafiosi, burocrati e veterinari, tutti coinvolti in un meccanismo che sottrae risorse a chi lavora la terra con impegno, talvolta con violenza: incendi dolosi, uccisione di animali e minacce. Così i fondi agricoli finiscono in tasche sbagliate, alimentando società fantasma che non producono nulla.
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In Sicilia, questo business tocca i 5,3 miliardi di euro. Non è una novità che la mafia abbia messo gli occhi sui contributi europei fin dagli anni ’70. All’epoca si parlava di “scafazzo”, un traffico di limoni organizzato dai clan mafiosi che, dichiarando propri anche i terreni militari, ridussero drasticamente l’agricoltura siciliana. Oggi, lo schema si è evoluto: le truffe riguardano gli allevamenti, e persino terreni inverosimili come il Muos a Niscemi o campi sportivi in Calabria vengono registrati come terreni agricoli per ottenere i sussidi.
Il fenomeno dell’abigeato, il furto di bestiame, è una delle piaghe che mette a rischio la sicurezza alimentare. Ogni anno in Sicilia spariscono circa 112mila capi di bestiame, animali che possono finire nei macelli abusivi e poi sulle tavole senza alcun controllo sanitario. Dal 2016 al 2023 sono stati rubati quasi 900mila animali, tra pecore, capre e bovini, e solo nei primi cinque mesi del 2024 ne sono spariti altri 30mila. Questi numeri non sono nuovi. Già otto anni fa, una commissione d’inchiesta istituita dall’ex governatore Rosario Crocetta aveva denunciato le infiltrazioni mafiose nella filiera delle carni, dopo l’attentato a Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi. Tuttavia, quella relazione è stata messa a tacere.
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Le autorità hanno avviato inchieste, come l’operazione Gamma Interferon, ma molte sono finite nel nulla, con gli imputati salvati dalla prescrizione. Crocetta aveva chiesto un rinnovamento ai vertici delle Asp e dell’Istituto Zooprofilattico siciliano, responsabili del controllo sulla carne, ma non ci sono stati cambiamenti. Gli allevamenti infetti venivano dichiarati “indenni”, e i contributi venivano erogati a società che non avevano alcuna attività agricola.
Solo recentemente, dopo un’inchiesta giornalistica, il commissario dell’Istituto Zooprofilattico, Salvatore Seminara, è stato rimosso, ma la radicata parentopoli che caratterizza l’istituto rimane un problema. In molti sostengono che i posti di lavoro siano assegnati non per competenza, ma per favoritismi politici, minando la fiducia nel sistema di controllo veterinario pubblico.
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La “zona grigia” in cui mafia e colletti bianchi si mescolano è sempre più vasta. La criminalità organizzata si è evoluta in una forma di criminalità economica, con interessi ramificati anche a livello internazionale. Le reti mafiose obbligano gli agricoltori a vendere carne ai macelli controllati dalla mafia, dove animali infetti vengono macellati e venduti a un prezzo inferiore rispetto agli animali sani. Nel frattempo, i controlli sui macelli sono spesso lacunosi o, peggio, corrotti.
Dopo dieci anni da quell’indagine coraggiosa, che avrebbe potuto fare luce su un sistema di criminalità ben radicato, non è rimasto nulla. I protagonisti di quella lotta sono stati trasferiti o, in alcuni casi, sono morti in circostanze misteriose. Il sistema, intanto, continua a ingrassare sulle spalle di chi lavora onestamente, lasciando ben poco spazio alla giustizia.