Chi sono stati i protagonisti degli anni bui della democrazia italiana? Dentro il ‘fascicolo’ spuntano nomi eccellenti che vanno da Salvatore Riina a Salvo Lima passando per Vito Alfio Ciancimino.
La storia, o meglio, la brutta storia inizia nel 1991 quando Cosa nostra si riunisce per volontà del boss dei boss Riina per coordinare l’attacco allo Stato italiano. Il compito di eseguire il lavoro sporco era stato affidato alla ‘Falange armata’. Il gruppo esecutivo di Cosa nostra rivendicò la sua prima azione il 27 ottobre 1990 con l’omicidio di Umberto Mormile, uno degli educatori del Carcere di Opera. E come tutte le grosse organizzazioni la Falange aveva anche uno slogan:“Il terrorismo non è morto, vi faremo sapere poi chi siamo.”
Nella riunione della Commissione regionale avvenuta ad Enna, Riina ordinò la condanna a morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. A seguire anche l’uccisione degl ‘infami’: i politici Salvo Lima, Calogero Mannino, Claudio Martelli, Carlo Vizzini, Salvo Andò e Sebastiano Purpura. Quindi l’inizio degli attentati con la strage di Capaci, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Appena dopo il Governo approvò il ‘decreto Falcone’ che introdusse il 41 bis. Ci furono, poi, una serie di contatti tra Giuseppe De Donno, Vito Ciancimino, per il tramite del figlio Massimo e per conto del colonnello Mario Mori (all’epoca vicecomandante del ROS). che informò il generale Subranni; a sua volta Ciancimino e il figlio Massimo contattarono Salvatore Riinaattraverso Antonino Cinà (medico e mafioso di San Lorenzo). Riina disse a Brusca:”Si sono fatti sotto. Gli ho presentato un papello così grande di richieste“.
L’elenco delle richieste
- Revisione della sentenza del maxiprocesso di Palermo
- Annullamento del decreto legge che inasprive misure detentive previste dall’articolo 41 bis per i detenuti condannati per reati di mafia;
- Revisione della associazione di tipo mafioso (reato introdotto con la legge 13 settembre 1982 n. 646, detta “Rognoni-La Torre”);
- Riforma della legge sui pentiti;
- Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse);
- Arresti domiciliari obbligatori dopo i 70 anni di età;
- Chiusura delle super-carceri;
- Carcerazione vicino alle case dei familiari;
- Nessuna censura sulla posta dei familiari;
- Misure di prevenzione e rapporto con i familiari;
- Arresto solo in flagranza di reato;[62]
- Defiscalizzazione della benzina in Sicilia
Il maresciallo Giuliano Guazzelli che aveva fatto da tramite tra Calogero Mannino, che rivendicava una scorta per minacce ricevute, e il generale dei carabinieri Antonio Subranni, venne ucciso in un attentato a bordo della propria auto dalla Falange armata. Poi l’attentato al giornalista Maurizio Costanzo, che però si salvò, a seguire la strage dei Georgofili di Firenze. In seguito a quest’ultimo attentato il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, rimosse il direttore e vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). La Falange esultò.
Dopo le minacce al ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e al capo della polizia, Vincenzo Parisi, il neo direttore del Dap invitò il ministro della Giustizia Conso a non rinnovare gli oltre 350 provvedimenti cautelari al 41bis. Così avvenne: il 2 novembre non vennero rinnovati i provvedimenti in scadenza per, a suo dire, “fermare le stragi”.
Secondo il pentito Gaspare Spatuzza il boss Giuseppe Graviano riferì di essere arrivato ai piani alti dello Stato per mezzo di Marcello Dell’Utri che, con Silvio Berlusconi, stava ottenendo tutto quello che aveva chiesto. Dopo gli arresti del ’94, che portarono in carcere i fratelli Graviano, la strategia stragista di Cosa Nostra cessò.
Esattamente il 1º luglio del ’92 il giudice Paolo Borsellino, interrogò il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, dopo aver incontrato al Viminale il ministro Mancino. Mutolo riferì di un Borsellino profondamente turbato. Qualche giorno il giudice confidò alla moglie Agnese la vicinanza del generale Subranni ad ambienti mafiosi. Riina ordinò la strage di Via d’Amelio del 19 luglio, in cui morirono Borsellino e gli agenti di scorta. Nel ’93 venne arrestato Riina e in seguito a delle minacce da parte dei familiari dei detenuti al 41 bis vennero revocati oltre 100 decreti di sottoposizione.
Mancino è stato indagato per falsa testimonianza dopo aver dichiarato di non sapere nulla della trattativa. Per Massimo Ciancimino, invece, la trattativa sarebbe adata avanti fino al 1994. Dieci anni dopo, nel 2004, sarebbe stato siglato un ‘Protocollo farfalla’ tra il Dap e i servizi segreti per permettere a questi ultimi di incontrare detenuti del 41 bis senza lasciare traccia. Matteo Renzi ha da poco eliminato il segreto sul protocollo e i magistrati hanno acquisito il documento.
ZdO