La protezione della famiglia di un collaboratore di giustizia in Italia non è automatica. Coniugi e figli hanno la possibilità di dissociarsi dal parente che ha scelto di collaborare con le autorità, come nel recente caso di Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”, capo del clan dei Casalesi, il quale ha deciso di rivelare informazioni sensibili.
Spesso, questa distanza viene resa pubblica per lanciare un chiaro messaggio a coloro che potrebbero desiderare vendetta per le sue rivelazioni.
Tuttavia, se la famiglia del collaboratore dovesse essere minacciata direttamente o se il pentito dovesse porre come condizione per la sua collaborazione la sicurezza della sua famiglia, lo Stato interviene per mettere sotto protezione moglie e figli.
Il programma di protezione comporta un cambio radicale nell’identità e nella residenza del soggetto coinvolto. I nuclei operativi di protezione (NOP), dipendenti dal Ministero dell’Interno, trasferiscono il collaboratore e la sua famiglia in una località protetta, fornendo nuove identità e avviando una nuova vita. Lo Stato fornisce un sostegno finanziario, che varia a seconda della situazione occupazionale precedente del soggetto, e copre le spese dell’appartamento, escluse le utenze.
La durata del programma di protezione dipende in gran parte dalla durata dei processi penali derivanti dalla collaborazione del pentito. Le minacce ricevute possono estendere il periodo di protezione, previa valutazione della pericolosità e dell’affidabilità da parte dello Stato e della magistratura. Tuttavia, il mancato rispetto delle prescrizioni imposte, come la divulgazione della propria identità o la violazione della residenza protetta, può portare alla revoca del programma di protezione, lasciando il collaboratore e la sua famiglia esposti ai rischi.