Volodymyr Zelensky nel suo intervento in Aula non cita la Resistenza. Ci pensa però Mario Draghi: “La resistenza di tutti i luoghi in cui si abbatte la ferocia del presidente Putin è eroica”, scandisce.
È netto. Pronuncia parole chiare e raccoglie applausi da tutto l’emiciclo. “L’Italia è pronta a fare di più”, è invece la sfida di Mario Draghi. Dunque, c’è la disponibilità a sostenere l’Ucraina nella sua lotta e sposare con decisione la causa dell’ingresso di Kiev nell’Unione europea. “Vogliamo disegnare un percorso di maggiore vicinanza del vostro Paese all’Europa – dice il presidente del Consiglio – È un processo lungo, fatto di riforme necessarie. Siamo al vostro fianco in questo processo. L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea”.
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I tempi di adesione non saranno brevi. Ma Draghi lo considera un omaggio comunque necessario. “Oggi l’Ucraina non difende solo se stessa, ma la nostra pace, libertà e sicurezza. Davanti all’inciviltà non ci giriamo dall’altra parte”. Il premier si spinge anche oltre, nonostante il fatto che Zelensky per una volta non reclami esplicitamente sostegno militare, no fly zone o altri armamenti. “A chi scappa dalla guerra dobbiamo offrire accoglienza. Di fronte ai massacri dobbiamo rispondere con aiuti, anche militari, alla resistenza”. È un punto chiave del discorso del capo del governo. Di armi ha già ragionato durante la call di lunedì pomeriggio organizzata da Biden con gli alleati europei del G7, a cui è tornato a partecipare dopo un paio di esclusioni rumorose. Ed è lo stesso nodo destinato ad essere riproposto dal Presidente degli Stati Uniti durante il vertice Nato di Bruxelles.
L’Italia sa già cosa fare.
Ha ricevuto richiesta informale di nuova assistenza da parte di Kiev. Sta valutando nuovi invii e alla fine procederà con altre spedizioni. Per il momento si tratta nuovamente di armi anticarro e antiaeree, già previste nel decreto con cui era stata disposta la prima fornitura. Se poi Washington dovesse chiedere ai partner uno sforzo sul fronte dell’artiglieria pesante, Roma valuterà assieme ai membri della Alleanza atlantica come procedere.
Ma non basta.
Dopo aver sostanzialmente chiuso l’accordo per rafforzare il fronte Sud-Est europeo con l’invio di 250 uomini in Ungheria, l’esecutivo sta vagliando l’opzione di spedire truppe anche in Bulgaria. Le consultazioni con il governo di Sofia sono in corso. L’ipotesi prevede l’utilizzo di 250 uomini, o di 500 nel caso in cui la guida del battaglione venisse assunta dall’Italia.
Sostenere lo sforzo bellico ucraino è insieme gesto politico utile in chiave interna e internazionale.
Significa mostrare agli americani che nonostante i dubbi di Giuseppe Conte e l’ostilità esplicita di Matteo Salvini all’invio di armi, Roma farà la sua parte. Ed è anche posizionamento politico in Europa, dove l’esecutivo non può vantare la stessa decisione sul fronte delle eventuali nuove sanzioni sul gas. Draghi ricorda di aver varato ampie misure punitive per spingere Putin al tavolo del negoziato. Ma il gas è un’altra cosa, perché al momento non c’è un paracadute in grado di ammortizzare la dipendenza da quello di Putin.
La moneta di scambio per il via libera sarà quella di soluzioni pratiche al caro bollette.
Draghi, assieme ai partner mediterranei dell’Unione, riproporrà la necessità di acquisti e stoccaggi comuni di gas, per poter tenere fede alla promessa fatta anche a Zelensky: “Siamo impegnati a diversificare le fonti di approvvigionamento per superare in tempi molto rapidi la nostra dipendenza dalla Russia”. Quanto ai migranti, già oggi in Parlamento anticiperà quanto dirà anche a Bruxelles: serve un fondo comune Ue per l’accoglienza dei rifugiati ucraini.