C’è un filo che unisce la Calabria alla Florida. Le parole chiavi sono speculazioni immobiliari. Ci sono affari milionari trattati da anonime società offshore, che nascondono interessi italiani. Sullo sfondo, l’ombra della ndrangheta.
In un’inchiesta condotta dal Miami Herald e l’Espresso viene fuori uno spaccato affaristico inquietante. Nei primi mesi del 2013 in Calabria le operazioni Black Money e Metropolis colpiscono clan potentissimi, i Mancuso di Limbadi e i Morabito di Africo, con indagini a tappeto e arresti eccellenti. Ci sono nomi già noti alle cronache di mafia. Ma anche colletti bianchi, professionisti, avvocati, uomini d’affari internazionali, incensurati e insospettabili.
Antonio Velardo si qualifica imprenditore immobiliare. Controlla una costellazione di società in Italia e all’estero, sparse tra Gran Bretagna, Irlanda, Tunisia, Cipro, Santo Domingo e, appunto, Florida. Nelle due inchieste si trova coinvolto con boss della ‘ndrangheta di primo piano. Le accusa sono pesanti: in Black Money è accusato di associazione mafiosa ed evasione fiscale. Ai processi però l’accusa di mafia cade. Nel giudizio di primo grado, nel 2017, Velardo viene condannato a quattro anni solo per associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale. In appello, nel 2019, anche questa accusa viene cancellata dalla prescrizione. Nel processo Metropolis, invece, viene assolto già in primo grado.
Nel 2007 punta “Gioiello del mare”, nel comune calabrese di Brancaleone. Progetto immobiliare che avrebbe dovuto fruttare 60 milioni di euro di ricavi netti. E che prevedeva la costruzione, tra il 2006 e il 2013, di ben 422 appartamenti, realizzati da una società di un certo Antonio Cuppari, considerato vicino alla cosca dei Morabito. Tutt’intorno, campi da golf, centri commerciali, hotel, impianti sportivi, piscine e aree giochi per bambini.
Velardo firma con Cuppari un accordo di cinque anni.
Sarà lui a promuovere la vendita di quegli alloggi a clienti inglesi e russi, insieme a un socio estero, Henry James Fitzsimons, che è già suo partner nella società irlandese Vfi Overseas di Dublino. Nella filiera commerciale entrano anche due calabresi di Melito Porto Salvo, Francesco L’Abbate, avvocato, e Domenico Musarella, commercialista. Tutti e due poi invischiati nell’inchiesta Black Money.
Velardo, L’Abbate e Musarella fanno affari muovendosi dalla Calabria alla Florida. Le loro iniziative hanno lasciato tracce nei Pandora Papers.
Le carte mostrano che L’Abbate e Musarella sono beneficiari di compagnie offshore registrate nelle British Virgin Islands (BVI), come la Usa Tax Lien Investments e la Accent Wealth Ltd. Quest’ultima è stata costituita nell’agosto 2012 insieme a Jacopo Iasiello, trasferitosi da Napoli a Miami per lavorare come agente immobiliare, in collegamento con uno studio legale di Milano.
Gli affari con le case pignorate in Florida
Velardo, L’Abbate, Musarella e Iasiello hanno scelto la Florida per via della crisi dei mutui, quella dei famosi sub-prime del 2007-2008, culminata con il fallimento della banca americana Lehman Brothers e la successiva recessione mondiale. Milioni di persone, illuse di poter comperare a debito delle proprietà negli Stati Uniti, hanno perso tutto. Con la crisi si è creata una grande abbondanza di appartamenti, ormai in svendita a valori stracciati. E il quartetto di imprenditori ne ha approfittato, comperando in Florida più di 130 proprietà a un prezzo medio di 120 mila dollari, investendo, in totale, più di 15 milioni.
Tra il 2012 e il 2017 le compagnie estere legate a Velardo hanno comprato almeno 70 case, molte delle quali situate nella contea di Miami-Dade, per un costo medio 85 mila dollari l’una. Acquisti realizzati tramite società denominate Apax Investments, Jafi Holding Corp e Dgi Real Estate Investment. Hanno speso più di 7 milioni di dollari, per poi rivenderle quasi tutte, spesso in pochi giorni, per 12,5 milioni. Elevato il margine di guadagno: 73 per cento.
L’8 agosto 2013 la Apax America 01, sotto la guida di Naddeo, compra un appartamento con due stanze da letto a West Little River, nelle vicinanze di Miami, per 74 mila dollari, e dopo appena cinque giorni lo cede alla società Lodgings Florida Corp con un ricarico del 62 per cento. Nove giorni dopo, Apax America rileva, a un isolato di distanza, una casa con quattro camere per 90 mila dollari rivendendola, dopo appena tre giorni, per 180 mila, esattamente il doppio.
Lo yacht ai Caraibi, la base ad Hammamet
Ufficialmente residente a Pompei, Velardo aveva fissato la sua base strategica in Tunisia, in un residence di Yasmine Hammamet. Una base fittizia, secondo il fisco italiano, creata per eludere le tasse. Qui Velardo sembra trasferire le sue attività fin dal maggio 2010. Ma il suo telefono è intercettato.
Dichiarandosi tunisino, come scrivono i giudici, Velardo non presentava alcuna dichiarazione dei redditi in Italia. In Irlanda invece ha percepito, nel 2009, almeno due milioni di euro: il 50 per cento degli utili distribuiti dalla società Vfi Overseas di Dublino, la stessa quota dell’altro socio, Henry James Fitzsimons. Le indagini fiscali italiane svelano anche altri redditi riscossi all’estero. Alla fine, Velardo aderisce allo scudo fiscale che permetteva agli evasori di mettersi in regola versando una cifra forfettaria del 5 per cento del patrimonio detenuto all’estero.
Velardo e la ‘ndrangheta
“Non ho nessun rapporto, né l’ho mai avuto in passato” ha detto Velardo all’Espresso e al Miami Herald.
“Mi hanno minacciato di morte… Mi hanno detto di non venire in Calabria, altrimenti mi ammazzano… Mi devono dare dei soldi e non vogliono pagare… Ma chi me l’ha fatto fare di venire in Calabria?”. Quelle minacce provenivano dal ‘clan di Africo’, un’area calabrese dominata dai Morabito una cosca molto potente. Pronta perfino a rifornire di armi l’Ira, l’organizzazione terroristica irlandese.