Erano stati esclusi dalla partecipazione della fiera di Bibione e così, un gruppo di persone, vicine alla camorra, avrebbero minacciato, picchiato, ricattato altri commercianti ambulanti per impedire loro di lavorare.
Risultato: nove arresti per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Dalla Dia e dalla Guardia di Finanza dicono che quando si parla di mafia è necessario essere consapevoli che non esistono più confini ma, piuttosto, nuovi territori da conquistare.
Lo dimostrano da anni i gruppi ‘ndranghetisti stabiliti in Piemonte e Lombardia. Le inchieste contro i camorristi in Friuli o quelle che hanno documentato come la ‘ndrangheta abbia infiltrato le istituzioni, ai più alti livelli regionali, in Trentino Alto Adige. Ma a documentarlo sono, soprattutto, gli ultimi numeri della Direzione investigativa antimafia che ha puntellato l’allarme che il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho aveva lanciato nei primi giorni di lockdown, a marzo 2020: “Attenzione, il Covid diventerà una grande occasione – aveva detto – per le mafie che assalteranno le aziende, gli esercizi commerciali a corto di liquidità”.
Dopo un anno e mezzo, gli ultimi dati della Dia parlano di 384 provvedimenti interdittivi per aziende in odore di clan.
La distribuzione geografica è così rappresentata: 108 in Calabria, 55 in Puglia, 51 in Campania, 45 in Sicilia, ma anche 33 in Lombardia, 22 in Emilia, 17 in Toscana, 11 in Veneto. Un dato preoccupa più degli altri gli investigatori e gli analisti: il boom delle operazioni sospette. Ovvero quelle transazioni dietro le quali si potrebbe nascondere un riciclaggio di denaro sporco. Nonostante infatti le attività commerciali siano state molto a lungo chiuse per via della pandemia si è riscontrato un aumento di operazioni sospette, 88mila contro le 86mila dello stesso periodo pre Covid. Di queste, 10.075 attività, secondo la Dia, sono direttamente collegabili proprio all’emergenza pandemica. Il venti per cento delle quali, prima regione in Italia, proprio in Lombardia.
La relazione della Dia
“Come già rilevato in passato – scrive la Dia nell’ultima relazione – il numero maggiore di operazioni sospette non avviene nei territori di origine delle organizzazioni mafiose ma in quelli di proiezione. In particolare nei contesti dove l’economia si presenta più florida. Non a caso la Lombardia si colloca in testa per numero di operazioni sospette, mentre, tra le prime regioni, figurano anche la Toscana, il Lazio, l’Emilia Romagna e il Veneto.
Un’analisi che dimostra come, al giorno d’oggi, le mafie abbiano assunto le caratteristiche proprie dell’impresa, se non addirittura quelle di una vera e propria holding che cerca costantemente di estendersi, pur mantenendo inalterata la propria “essenza” criminale che si basa su un patrimonio identitario coltivato prevalentemente nelle regioni del Sud Italia. È con questa strategia che, fuori dalle regioni di origine e anche all’estero, le mafie si indirizzano, innanzitutto, alla gestione del mercato” degli affari piuttosto che al controllo del territorio'”.
A muoversi è “il volto pulito di imprenditori e liberi professionisti – sottolinea la Dia – attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d’azione silente che non desta allarme sociale”. Il “volto pulito”.