“Ben otto agenti dell’anticrimine hanno prelevato mio figlio in una scuola perché io avrei abbandonato mio figlio in un un centro sportivo agonistico”. La vicenda di Giada Giunti non conosce ancora la fine e si tinge di ulteriori particolari.
In un’intervista di oggi con Zone d’Ombra Tv, Giada ha ribadito ancora una volta di essere determinata ad andare fino in fondo. Vuole riportare il proprio figlio tra le sue braccia. Una storia, questa, fatta di inadempienze, omissioni ed elusioni della normativa sui minori.
“L’arbitrarietà fa sorgere pesanti sospetti sulla legalità e sull’alterità della magistratura nel suo rapporto con le varie professionalità” ha detto il vicepresidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia. Rampelli ha depositato un’interrogazione alla ministra della Giustizia Marta Cartabia e alla ministra della Famiglia Elena Bonetti sulla vicenda di Giada Giunti.
La storia di Giada Giunti
La Giunti racconta di “Un ex marito violento che ha chiesto la casa famiglia per il proprio figlio pur di allontanarlo da lei”. Il punto è che l’ex marito, come racconta la donna, è stato definito – dalle Ctu nominate dal Tribunale dei minori – come violento e con disturbi della personalità, pericoloso per il figlio perché violento, narcisista, con comportamenti di aggressione e rabbia. La Giunti è accusata dal marito di aver abbandonato al circolo sportivo il figlio, ma poi di essere simbiotica.
I giudici: “superfluo acquisire le testimonianze del figlio”
Il 31 luglio 2019 la sentenza motiva la sua decisione di affidare in via esclusiva il figlio al padre ritenendo “superfluo” acquisire le video registrazioni, i verbali degli incontri tra la mamma e il figlio e tutta la documentazione probante, facendo solo riferimento alle relazioni del servizio sociale che ha preso come verità assoluta. “Con queste registrazioni ed altro materiale ho dimostrato che l’assistente sociale ha relazionato il falso. Ritengo, quindi, che la sentenza sia nulla, anche per altre ragioni. Al ministero della Giustizia ed a tutto il Governo chiedo protezione, ispezioni. La documentazione è probante ma non vengo ascoltata”.
L’interesse superiore del figlio
Dunque, non si riesce a capire com’è possibile la collocazione del bambino in una casa famiglia e poi l’affidamento al padre, denunciato dall’ex coniuge per violenza domestica e riconosciuto dalle autorità competenti come persona pericolosa per il figlio perché violento. Il minore, che vuole tornare con la madre, non è mai stato ascoltato dai giudici, né è stata mai presa in considerazione dal Tribunale la documentazione fornita dalla madre. L’ex ministro Bonafede, rispondendo a un’interrogazione, ha chiesto venisse rispettato “il pieno diritto di ascolto del minore considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurata la volonta’ di quest’ultimo“.
“L’ascolto è un diritto, ma soprattutto un obbligo del giudice in tutti i procedimenti che riguardano il minore, sancito dall’art. 13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo e, non ultimo per importanza, dagli articoli 315 bis, 336 bis e 337 octies del nostro codice civile” conclude Rampelli.