Quelli che avevano tanto a cuore la democrazia diretta ora cambiano idea. Gli eletti del M5S dicono di non fidarsi più della piattaforma Rousseau.
Così la guerra, tutta interna all’ex movimento anticasta, cancella un altro pezzo delle virtù grilline. Gli eletti vogliono riportare la piattaforma sotto il controllo del Movimento escludendo Davide Casaleggio dalla linea politica. E, come se non bastasse, nelle ultime ore i ministri a 5 stelle hanno ordinato che nulla sia deciso sulla nuova leadership collegiale prima che con il manager e con il suo staff non sia stato trovato un accordo.
Il problema è la fiducia venuta a mancare tra le figure istituzionali del Movimento e chi è fuori dal Parlamento. Davide Casaleggio ha dato man forte alla richiesta di Di Battista di conoscere i voti con cui gli attivisti avevano scelto gli oratori per gli Stati generali. Il sospetto è che l’ex deputato del M5S conoscesse i numeri a lui favorevoli.
“Come facciamo a fidarci di un voto che gestirebbe Davide, ora che si è messo così apertamente contro di noi?”, chiede un ministro in una delle tante call delle ultime ore. Crimi ha tentato di rassicurare tutti: il sistema adesso è sicuro, i problemi del passato sono stati risolti, una volta avviato il processo nessuno può inquinarlo o controllarlo. Il punto però rimane: far passare tutta quella mole di informazioni da un gruppo di persone che, secondo molti M5S, ha lavorato solo per boicottare gli Stati generali, “è un rischio che non possiamo permetterci”. Roberta Lombardi, come esponente del comitato di garanzia, è tornata a chiedere una certificazione esterna delle votazioni on line.
Il problema dei tempi.
“Crimi non ce la fa più, non può reggere tutta questa tensione”, racconta chi ha lavorato al suo fianco. E non l’ha presa bene quando ha saputo che l’Associazione Rousseau ha organizzato per lunedì un’iniziativa per coinvolgere attivisti e territori promettendo sedi fisiche. Sotto quel post ci sono le promesse di donazioni di Di Battista e dell’ex ministra Barbara Lezzi.
Scissione inevitabile a quanto pare.
Di Battista ha scritto un post molto duro sulla possibilità di un’intesa con Forza Italia, aggredendo il Pd, ma mandando di fatto un avvertimento all’ala governista M5S. Tensione scoppiata dopo che Di Maio ha visto a cena la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.
L’ala ribelle del Movimento ha dato il suo contributo alla Camera sui decreti sicurezza: la presentazione di una serie di emendamenti che miravano a ripristinare il sequestro per le navi delle Ong che salvano vite in mare. Il presidente della commissione Affari europei, il 5 stelle Sergio Battelli, dice: “Il problema è che finché non cambiamo lo statuto, finché non stabiliamo pesi e contrappesi, ognuno si permette di fare quel che vuole”.
Il finanziamento pubblico
E sempre Battelli rivela che agli Stati generali gli attivisti erano pronti a modifiche anche più pesanti: “In molti erano favorevoli al finanziamento attraverso il 2 per mille, ma Crimi su quello ha troncato la discussione”. Dovranno essere gli attivisti a dire se preferiscono due organi, sul modello di direzione e segreteria pd, o un unico organo collegiale con un primus inter pares. Con la dichiarazione dei redditi, i contribuenti decidono di destinare una quota della loro irpef (lo 0,2%, cioè il cosiddetto 2×1000) a un partito anziché allo Stato. Forma di finanziamento che non va confusa con il 5×1000 (destinato ad associazioni) e con l’8×1000 (destinato alle confessioni religiose).
Proprio i 5 stelle hanno combattuto la battaglia sul finanziamento pubblico che, negli anni, ha portato ingenti somme nelle segreterie di partito. A partire dal 2014 i rimborsi elettorali sono stati ridotti anno dopo anno del 25%, del 50%, del 75% e infine eliminati nel 2017. Contemporaneamente sono aumentati i fondi stanziati per il 2×1000: 7,75 milioni nel 2014, 9,6 milioni (2015), 27,7 milioni e 45,1 milioni a partire dal 2017. Nel 2017 hanno raccolto circa 15 milioni su 25 in palio, lasciando la parte restante allo stato.