Chissà come sarebbe contento l’uomo che ha scritto un pezzo di storia italiana. Licio Gelli ha portato con sé molti dei misteri italiani e molti dei nomi degli apparati istituzionali che avrebbero dovuto difendere lo Stato e che, invece, hanno contribuito a distruggerlo. Oggi qualche traccia di quell’idea rispunta nel referendum sul taglio dei parlamentari.
Il Piano della Loggia massonica P2 prevedeva un assorbimento degli apparati democratici della società italiana facendoli confluire dentro un autoritarismo legale che avrebbe avuto al suo centro l’informazione. Un Piano scoperto nel 1981 e che lo stesso Gelli ha ammesso nel 2003 avere non poche caratteristiche in comune con i programmi dei partiti: “la coincidenza di talune parti del ‘Piano’ con i programmi dei partiti dell’epoca non sarebbe stato casuale”.
Lo stesso Gelli riferì che l’unico a poterlo attuare poteva essere Silvio Berlusconi.
La commissione Anselmi accertò l’esistenza della struttura segreta che aveva messo nero su bianco un piano articolato di riforma dello Stato e della vita pubblica italiane, da realizzarsi entro un orizzonte temporale non precisato. Piano redatto al di fuori delle sedi istituzionali preposte dalla Costituzione. Gelli riferì che gli iscritti alla P2 erano circa 2400. Un piano che in parte è stato attuato.
I punti della P2
Gli obiettivi della Loggia erano ben chiari: rivoluzionare e dare nuova linfa al sistema. Uno degli obiettivi era il Parlamento:
“lo spostamento dei centri di potere reale dal Parlamento ai sindacati e dal Governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria. Sarebbero sufficienti una buona legge sulla programmazione che rivitalizzi il CNEL ed una nuova struttura dei Ministeri accompagnate da norme amministrative moderne per restituire ai naturali detentori il potere oggi perduto;”
Dunque, l’intervento sostanziale sul numero dei parlamentari:
“Ordinamento del Parlamento I nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati – ex funzionari e imprenditori pubblici – ex militari ecc.);”
e un intervento sulla stampa…
“la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata; c) i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;”
…e sui giornalisti.
“Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l’impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l’ambiente. Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di ‘simpatizzare’ per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d. In un secondo tempo occorrerà: a) acquisire alcuni settimanali di battaglia; b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata; c) coordinare molte TV via cavo con l’agenzia per la stampa locale; d) dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 Costituzione”;
Interessante notare come il Piano di rinascita prevedesse la cancellazione della Rai.
“immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese;
moltiplicazione delle reti radio e TV in nome della libertà di antenna (art. 21 della Costituzione), e la soppressione della RAI. Queste emittenti e i giornali dovevano essere coordinati da un’agenzia centrale per la stampa.”
Uno scenario che nel 2014 destava molta preoccupazione soprattutto per i grillini che scrivevano:
“Le riforme in campo sono sostanzialmente tre: una repubblica presidenziale senza un organo di controllo come il Senato non più elettivo, una legge elettorale che esautori la volontà popolare e consegni il Paese a un uomo solo al comando (preferibilmente eterodiretto dalla nuova P2), palesemente anticostituzionale e persino peggiore della legge fascista Acerbo e la privazione di diritti dei lavoratori attraverso il famigerato Job’s Act che elimina di fatto la figura del lavoratore dipendente con le garanzie associate ottenute da cent’anni di lotte operaie”.
Oggi le cose sono cambiate
“Il 20 e 21 settembre andiamo a votare per confermare la nostra riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari: da 945 a 600” scrive il MoVimento 5 Stelle sul blog. “Per noi il referendum – scrivono i pentastellati – è lo strumento più nobile a disposizione del popolo per incidere sulla vita politica, siamo gli alfieri della democrazia diretta”. “E allora – prosegue il post sul blog – approfittiamo di questa occasione per mandare un messaggio chiaro di rinnovamento e partecipazione: andiamo in massa a dire Sì, vogliamo rendere più efficienti la Camera e il Senato, perché sono le assemblee che rappresentano i cittadini, i titolari della sovranità popolare.
Perché la riforma rende più efficienti il Parlamento? Vediamo un esempio: oggi alla Camera ci sono 14 commissioni permanenti, divise per materia e ognuna è composta da quasi 50 persone. Poi tutti i 630 deputati lavorano in Aula. Ognuno di essi è un legittimo portatore di emendamenti, istanze a volte di ordine generale a volte particolaristiche. Sono troppi! Così è difficile lavorare, il rischio di un dibattito infinito e troppo frastagliato è sempre dietro l’angolo”.
Il numero dei parlamentari
Tutto interessante se non per un aspetto un po’ agghiacciante: il numero dei parlamentari -se passasse il Sì al referendum- si ridurrebbe da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato. Si tratta di 50 parlamentari in meno rispetto alle volontà di Gelli.
Gelli teorizzava, per concludere, l’annullamento delle fronde “democratiche” dei ministeri:
“determinare competenze e numero (ridotto) dei ministri, con eliminazione o quasi dei sottosegretari;
riforma dell’amministrazione (relativa agli artt. 28, 97 e 98 Cost.) fondata sulla teoria dell’atto pubblico non amministrativo, sulla netta separazione della responsabilità politica da quella amministrativa (che diviene personale, attraverso l’istituzione dei Segretari Generali di Ministero) e sulla sostituzione del principio del silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso”.
Un taglio per un caffé
330 mila euro al giorno equivale a 110 milioni di euro /anno. Il bilancio statale italiano ha una spesa di circa 800 miliardi di euro l’anno, e quindi la riduzione delle poltrone inciderebbe per meno dello 0,0002% (1/5 di millesimo) sul totale delle uscite. Il risparmio è meno di 2 € l’anno per ogni italiano.
Insomma, a quanto pare un quadro che si completa con le intenzioni del figlio del fondatore del M5S, Davide Casaleggio, il quale afferma:
“Il Parlamento ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma”.
Se teniamo presente che Casaleggio è socio della piattaforma Rousseau il futuro assume, almeno per alcuni, una tinta fosca.