Chissà che effetto fa al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, chiedere la fiducia alle Camere dopo la disastrosa gestione della vicenda legata al Dap. Soprattutto, chissà che effetto fa al ministro, e aggiungerei a tutti i pentastellati, chiedere aiuto a Matteo Renzi e a Maria Elena Boschi per salvarsi le poltrone.
Che i 5 stelle abbiano perso la loro dignità politica è cosa risaputa. Ma, ammetto, fanno un po’ tenerezza vederli con il piattino in mano supplicare i loro ex nemici a farli rimanere in quell’Aula che, un tempo, volevano aprire come una scatoletta di tonno. E che non solo non hanno aperto ma ci si sono abbuffati di potere.
L’epoca della contestazione è finita e la sete di potere li ha divorati.
Com’è finita l’epoca in cui lo stesso Bonafede riferiva falsità sulla famiglia Boschi. Il ministro della Giustizia ha dimenticato, probabilmente, quell’ottobre 2018 quando, senza se e senza ma, accusava, falsamente, quel giglio magico a cui oggi chiede la redenzione. Parlando di Banca Etruria Bonafede affermava: “la legge sulla class action è stata approvata alla Camera ed è pronta al Senato per il via libera definitivo. Così, ad esempio, i truffati dalle banche del padre della Boschi, potranno mettersi insieme e difendersi”. Questo era Bonafede nemmeno due anni fa: diceva bugie. Infatti, il padre della Boschi non aveva nessuna responsabilità, né sulla banca né sui truffati.
Il nome di Pierluigi Boschi non è comparso tra i 25 imputati, ex consiglieri di amministrazione, ex revisori ed ex dirigenti di Banca Etruria, chiamati a rispondere del default dell’ex istituto di credito aretino nel processo in rito ordinario che riguarda il filone principale dell’inchiesta. Tra l’altro, nel rito abbreviato sono già stati giudicati e condannati per bancarotta fraudolenta a cinque anni l’ex presidente di Banca Etruria Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, e a due anni l’ex vice presidente Alfredo Berni, mentre per bancarotta semplice è stato condannato a un anno l’ex membro del cda Rossano Soldini.
E se Bonafede diceva bugie allora, chi ci assicura che sulla vicenda del Dap non continui a dire bugie?
“Ci furono condizionamenti? Ancora una volta no”, torna a ribadire il ministro Bonafede pochi minuti fa al Senato per chiedere la fiducia. Aprendo il suo intervento in aula Bonafede ha detto: “Quando si giura sulla Costituzione si decide di essere in tutto e per tutto uomo delle istituzioni. In queste ultimi 3 settimane si è alimentato fuori da qui un dibattito fatto di illusioni e illazioni ma essendo uomo delle istituzioni ho risposto molteplici volte portando avanti la forza e l’evidenza dei fatti”.
Peccato che Bonafede non abbia elementi per comprendere che il punto della vicenda che lo riguarda è prima di tutto politico. A ricordarglielo è un ex 5stelle: “Lei ha tradito 11 milioni di cittadini che ci avevano mandato in Parlamento per combattere la mafia – ha tuonato il senatore ex M5S Mario Giarrusso – e quel segnale era impersonato da un simbolo, Nino Di Matteo, sbandierato in campagna elettorale come destinatario di importanti incarichi”, mentre “il ministero è stato consegnato a una banda di amici di Palamara”.
Ovviamente Bonafede conserverà la sua poltrona perché i renziani lo voteranno.
Ma i 5 stelle, e lo stesso ministro, da questa partita usciranno indeboliti politicamente. La fiducia di Italia Viva vorrà dire accettare la lista di richieste presentate da Matteo Renzi. E a trattare, manco a dirlo, è stata proprio la Boschi. La capogruppo di Italia Viva a Palazzo Chigi ha chiarito pesi, misure e rapporti nella maggioranza. L’ipotesi è anche quella di un probabile rimpasto a stretto giro nell’esecutivo. La conseguenza di oggi è che i 5 stelle dovranno rinunciare al giustizialismo (per fortuna) con cui hanno cavalcato le loro campagne elettorali e alleggerire il loro peso politico decisionale.
L’altra questione, non meno importante, è l’inadeguatezza di Bonafede a ricoprire quel ruolo visto come ha agito. Collocando il suo uomo di fiducia al Dap si è reso semplicemente complice del disastro. Non contento, Bonafede ha commesso un secondo errore con la nomina di Petralia, il nuovo capo Dap che chiedeva favori a Palamara e che voleva incontrare Legnini.
Detto tutto ciò, Bonafede avrebbe dovuto dimettersi da solo in conseguenza a ciò che lui stesso affermava qualche mese fa: “Chi è sospettato deve dimettersi”. Oggi il sospettato è lui ma non si dimette.