Alla fine è arrivato il Decreto Rilancio. Dopo tanto attendere il Governo pare abbia calato il suo asso: 55 miliardi di euro per imprese e famiglie. Pare, appunto. Perché, come sempre, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E solo nelle prossime ore, studiate per bene le norme, si capirà se bluff ci sia stato.
Intanto, la prima cosa che appare evidente è che questa “super-Finanziaria” è scritta in un linguaggio a tratti incomprensibile.
Le prime analisi indicano l’assenza di una strategia di sviluppo. Non ci sono investimenti ma tante toppe: 256, lo stesso numero di articoli. Come la revisione della cassa integrazione in deroga. Per colmare i ritardi di certi passaggi burocratici le competenze delle Regioni sono state trasferite all’Inps. E l’Inps anticipa poco meno della metà dei soldi. Con l’entrata in partita dell’Agenzia delle Entrate, pagherà i contributi ai lavoratori autonomi, professionisti esclusi. Bisognava pensarci fin dall’inizio.
La garanzia pubblica sui prestiti bancari era sulla carta una misura sacrosanta: poi, manco a dirlo, sono saltate fuori le magagne della burocrazia, e il sogno in certi casi è diventato un incubo. Le lamentele degli industriali sono state inascoltate.
C’è, poi, la norma messa a punto per il disastro dei canoni degli affitti commerciali: un credito d’imposta del 60% concesso a un affittuario che non ha lavorato e che non ha tasse da pagare. Genio.
Ma l’apice si tocca con i 600 euro per sopravvivere e i 500 euro di contributo a fondo perduto per l’acquisto della bicicletta. Un Decreto Rilancio, insomma, con le dovute proporzioni.