Caso Bonafede-Di Matteo: quella notte in cui il ministro cambiò idea sulla direzione del Dap
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Nel giro di una notte il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha cambiato idea sull’uomo da mettere alla direzione del Dap. Dopo le nostre anticipazioni su una probabile manovra voluta dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte su consiglio del fedelissimo Fabrizio Di Marzio, oggi Nino Di Matteo torna sulla vicenda. Il Caso Bonafede-Di Matteo non sembra arrivare a conclusione.

“Era lunedì, il 18 giugno. Ero a Palermo, a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma, nel mio ufficio alla procura nazionale antimafia” spiega Di Matteo a Repubblica. “Squillò il telefono una prima volta, con un chiamante sconosciuto. Non risposi. Suonò di nuovo. Era Bonafede. Con lui non avevo mai scambiato una parola. C’era stato solo un incontro alla Camera nel corso di un convegno sulla giustizia e poi un altro alla convention di M5S a Ivrea. La telefonata durò 10 o 15 minuti”.

A quel punto il ministro diede due alternative al magistrato

“Mi pose l’alternativa, andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali. Aggiunse che dovevo decidere subito perché mercoledì ci sarebbe stato l’ultimo plenum utile del Csm per presentare la richiesta di fuori ruolo. Richiesta che era urgente per il Dap, ma non lo era per la direzione degli Affari penali”. Di Matteo risponde che lo avrebbe raggiunto al ministero il giorno dopo. Chiudendo il telefono Bonafede disse: scelga lei” il ruolo.

Martedì 19 giugno, Di Matteo entra al ministero. Mi sedetti davanti a Bonafede e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini, mi chiese se lo conoscessi e lo apprezzassi. Risposi di no, che non lo avevo mai incontrato”.

Il magistrato rimase sorpreso. Devo presumere – spiega ancora a Repubblicache quella notte qualcosa mutò all’improvviso. Bonafede insistette sugli Affari penali, parlò di moral suasion con la collega Donati (che ricopriva il ruolo agli Affari penali, ndr) perché accettasse un trasferimento. Non dissi subito no, ma manifestai perplessità. Siamo a giugno, disse Bonafede, lei mi manda il curriculum, a settembre sblocchiamo la situazione”.

Il 19 giugno mattina Di Matteo torna dal ministro. “Tornai da lui per cinque minuti, il tempo di dirgli che a queste condizioni non ero più disponibile. Cose come queste sono indimenticabili. Come il nostro ultimo scambio di battute. Io gli dico di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali ‘non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga’. Una frase che, se riferita al Dap, ovviamente mi ha fatto pensare”.

Chi non voleva alla direzione del Dap Di Matteo? Pressioni politiche o pressioni esterne?

Riguardo le intercettazioni dei bosso in carcere, Di Matteo riferisce anche di quella vicenda. Dopo le elezioni alcuni giornali scrissero che c’era un’ipotesi Di Matteo al Dap. Dell’esistenza del rapporto lo appresi il giorno prima o lo stesso giorno della visita. Mi chiamarono da Roma dei colleghi per dirmi che c’era una cosa molto brutta che mi riguardava. In più penitenziari, per esempio all’Aquila, boss di rango avevano gridato ‘dobbiamo metterci a rapporto col magistrato di sorveglianza per protestare contro questa eventualità’. Subito dopo 52 o 57 detenuti al 41 bis, ciascuno per i fatti suoi, avevano chiesto di conferire. A quel punto era stata fatta un’informativa diretta a più uffici di procura e al Dap”.

E sulla vicenda, come confermato dallo stesso ministro, Bonafede era al corrente.

Di Matteo rimase deluso da quel trattamento perché: ho sempre pensato di essere stato trattato in modo non consono per la mia dignità professionale. Sulla mia testa pende una condanna a morte mai revocata di Riina.” “Prima una proposta, poi un’altra. Da allora mi sono sempre chiesto cos’era accaduto nel frattempo. Se, e da dove, fosse giunta un’indicazione negativa, magari uno stop degli alleati o da altri, questo io non posso saperlo”.

 

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