Con il passare delle ore, imprenditori e professionisti, spulciando i commi e le specifiche scritte nel dl liquidità, prendono atto dell’inconsistenza delle misure del Governo nel dl liquidità. È chiaro a tutti, ormai, che lo Stato non mette un euro a sostegno delle imprese. Cosa ancor più grave è che, per assicurarsi il gettito annuale delle tasse, il Conte-bis affida alle banche la garanzia delle coperture economiche. Insomma, pare si tratti, della grande “potenza del bluff” del governo Conte.
Eppure, in occasione della presentazione del decreto legge sono volate parole “grosse”. “Un intervento senza precedenti” lo ha definito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. E il premier Giuseppe Conte, come abbiamo scritto, si è lanciato in pindarici voli grammaticali: “È una poderosa potenza di fuoco” ha sentenziato.
Al netto delle banalità dette da premier e ministri per assicurarsi un posto privilegiato nei titoli di quotidiani e Tg, le cose, nella realtà, stanno in maniera diversa.
Un primo aspetto è quello della macchinosità che regola la liquidità da garantire alle imprese. La copertura della garanzia viene rilasciata alle imprese che al 31 dicembre 2019 non rientravano nella categoria di imprese in difficoltà e che al 29 febbraio 2020 non erano presenti tra le esposizioni deteriorate della banca. C’è poi da fare una parentesi sui limiti dell’importo, il quale non deve essere superiore al 25% del fatturato annuo dell’impresa relativo al 2019 e al doppio dei costi del personale dell’impresa.
Siamo, insomma, di fronte a una “pura fuffa” mediatica, come l’ha definita Michele Geraci, ex sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico del primo governo Conte. Geraci introduce, tra l’altro, anche un elemento nuovo nella discussione: “La gestione di questa emergenza da parte del nostro governo sta aggravando la situazione”. Non avendo moneta ogni “politica keynesiana non trova canali”. Dopo di che bisogna considerare che un terzo del nostro pil deriva dall’export, cioè l’unica componente del pil “che è cresciuta negli ultimi 15 anni”.
Geraci ritiene che le misure del Governo siano “completamente inadeguate” perché invece di “anticipare il problema” lo inseguono: “Le misure prese in modo incrementale, una dopo l’altra, non sono quello che questa crisi richiede. Questa crisi richiedeva una misura immediata, e già siamo in ritardo di due mesi… E non un decreto la settimana, non un’autocertificazione alla settimana, non un budget che cresce da 3 poi 7 miliardi poi 20 miliardi, poi 50 poi 100”.
Tasse rinviate
Un altro aspetto riguarda quello degli adempimenti fiscali. Perché il Governo non li ha annullati? Perché ha preferito coinvolgere le banche per i prestiti?
Il decreto prevede la sospensione dei versamenti di Iva, ritenute e contributi per i mesi di aprile e maggio, in aggiunta a quelle già previste con il Cura Italia’. Nel dettaglio:
- IVA, ritenute e contributi sospesi per soggetti con calo di fatturato di almeno il 33% per ricavi/compensi sotto i 50 milioni e di almeno il 50% sopra tale soglia;
- sono sospesi in ogni caso i detti versamenti per i soggetti che hanno iniziato ad operare dal 1° aprile 2019;
- per i residenti delle 5 province più colpite (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza), sospensione versamento IVA se calo del fatturato di almeno il 33% a prescindere dalla soglia di fatturato dei 50 milioni;
- ripresa dei versamenti a giugno, con la possibilità di rateizzazione in 5 rate.
- La sospensione delle ritenute d’acconto sui redditi da lavoro autonomo prevista dal decreto “Cura Italia” viene estesa anche alle scadenze di aprile e maggio.
Il giro di soldi
Il sospetto è che il Governo abbia messo in piedi una fantastica macchina da guerra per seppellire definitivamente le imprese italiane. Lo Stato, in tutta questa partita non mette sul tavolo nemmeno un euro. Le garanzie, infatti, non prevedono distribuzione di liquidità. Lo Stato si limita a garantire alle banche il debito che un imprenditore chiederà. I 400 miliardi che le banche erogheranno rientreranno nella casse degli istituti di credito in 6 anni con l’aggiunta degli interessi. Ciò vuol dire che “gireranno” ben 67 miliardi annui.
Ora, nell’ipotesi estrema che fallissero più della metà di imprese lo Stato dovrebbe ripagare la banca per 6,7 miliardi l’anno. Lo Stato incassa come gettito fiscale annuale anticipato, fonte Istat, circa 500 Miliardi.
“La conclusione – spiega Lorenzo Legnaioli, Manager Business Università Firenze – è che lo Stato in realtà non ci ha messo 1 euro, ha solo messo in sicurezza il proprio gettito fiscale attraverso un’operazione di factoring con le banche, gettito che ti chiederà anche quest’anno in anticipo e puntuale come la morte. Al massimo gli costerà 6,7 Miliardi l’anno. Il reddito di cittadinanza ce ne costa 9.”