Ilaria Capua è considerata la più importante virologa italiana. Nel mondo. Stiamo parlando di una persona di altissimo valore, di una virologa, nota per i suoi studi sui virus influenzali e, in particolare, sull’influenza aviaria. La direttrice dell’One Health Center dell’Università della Florida, però, nella sua vita ha commesso un “errore”: quello di scendere in politica.
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A volerla nell’Esecutivo di Governo fu l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti. Fu eletta alle elezioni del 2013. Seppur costretta a “fuggire” negli Stati Uniti per via della persecuzione mediatico-giudiziaria di cui fu vittima, non ha dimenticato il suo Paese. Nei giorni scorsi, infatti, ha spiegato in maniera dettagliata come funziona il coronavirus, da dove è partito, in quanti ceppi diversi si presenta, per quali porte è entrato in Europa e in America. Lo ha fatto, però, dall’America, dal Paese che ha riconosciuto la sua autorevolezza e l’ha accolta dandole un posto di prestigio.
Oggi Ilaria Capua vive in Florida ed è direttrice di un dipartimento universitario. Un giornale scientifico degli Stati Uniti l’ha messa nell’elenco dei 50 studiosi al top della scienza mondiale. E nel campo della virologia è la numero uno in Europa.
La ricercatrice
Nel 2006 Ilaria Capua rese di dominio pubblico la sequenza genica del virus dell’aviaria, che diede il via allo sviluppo della cosiddetta “scienza open-source“. La rivista scientifica Seed l’ha eletta “mente rivoluzionaria” ed è entrata fra i 50 scienziati top di Scientific American. Il suo curriculum è ampissimo e ha avuto, da sempre, l‘inclinazione a sfidare atteggiamenti consolidati. Come quando presentò dati scientifici in cui sosteneva che la futura pandemia influenzale umana sarebbe stata causata da un virus animale di sottotipo H1 e non da un H5, una previsione che si rivelò esatta. Ad oggi il suo gruppo si occupa principalmente delle malattie virali trasmissibili dagli animali all’uomo. Ha pubblicato oltre 200 lavori su riviste internazionali indicizzate e due libri di testo sull’influenza aviaria e sulla malattia di Newcastle.
La trappola del linciaggio
Una risorsa per l’Italia che però il nostro Paese si è lasciata sfuggire. Come mai? Perché la Capua è andata via dall’Italia, dove, oltretutto, era deputata? La risposta è di una banalità imbarazzante: perché è caduta vittima di un linciaggio giornalistico-giudiziario. La direttrice è finita indagata per reati che avrebbero potuto portarla all’ergastolo. Così è stata costretta a dimettersi dal Parlamento per via della sua reputazione fatta a pezzi è se n’è andata a ottomila chilometri dall’Italia.
L’operazione mediatica
A sparare la bomba sulla Capua è il settimanale L’Espresso che, con un’inchiesta di Lirio Abbate, si dà conto di una presunta cessione illecita di stipiti virali ad aziende farmaceutiche per la produzione di vaccini veterinari e sfruttamento illecito dei diritti del brevetto DIVA (Differentiating Vaccinated from Infected Animals). Si tratta della prima strategia di vaccinazione contro l’influenza aviaria con un test in grado di svelare se gli anticorpi presenti in un soggetto sono stati indotti dal vaccino o da infezione. DIVA è adesso tra le strategie raccomandate da organizzazioni internazionali come la FAO e dalla Unione Europea per combattere l’Influenza Aviaria su scala globale.
L’inchiesta tutto fumo e niente arrosto
“Quando uno mi sta sul … deve crepare!”, riportava il settimanale citando le frasi di Ilaria Capua. La virologa commentava le parole di una ditta farmaceutica che criticava la sua “Diva”. I pm romani buttarono dentro l’inchiesta anche il marito della dottoressa e altre 36 persone, accusati a vario titolo di associazione per delinquere, traffico di virus e corruzione. Le intercettazioni raccontarono di tantissimi episodi in cui la Capua avrebbe trattato con Intervet, filiale italiana di un colosso dei farmaci veterinari. I vertici di Intervet si erano mostrati critici sull’efficacia del sistema Diva. “Ma la signora dei virus – scriveva L’Espresso – gli avrebbe fatto sapere che nell’Istituto zooprofilattico di Padova era in corso un esperimento su un vaccino prodotto da Intervet: il marchio però sarebbe stato menzionato nel suo studio solo se i responsabili della casa farmaceutica avessero assecondato le sue richieste, tra le quali quella di rivalutare il test Diva. E parlarne bene. E ai manager avrebbe fatto arrivare un messaggio chiaro attraverso un intermediario: ‘Lei non è una persona che si compra con quattro lire'”.
Da una delle registrazioni emerge uno spaccato degli interessi in ballo.
Parla alla madre della proposta di lavoro ricevuta da una fondazione della Florida e osserva che “sarebbe un problema perché la fondazione non ha finalità commerciali” mentre, al contrario, in quel periodo lei ha una parte attiva e ha “una buona attività commerciale per la vendita dei reagenti diagnostici che le consentono di guadagnare in un anno ben 700 mila euro”. Per gli investigatori un’affermazione che si riferirebbe ai ricavi che Capua, insieme a Marangon e Giovanni Cattoli, stavano ottenendo dalla vendita del test Diva, per il quale è stato stipulato un contratto con le ditte Merial, Fort Dodge, e Paesi stranieri. I reati che si ipotizzavano erano spaventosi: non solo corruzione ma addirittura “diffusione di epidemia”, reato che prevede il carcere a vita. L’ipotesi fu che la professoressa, d’intesa con alcune case farmaceutiche, abbia creato e diffuso dei virus per poi vendere i vaccini pronti per curarli.
L’indagine resta per quattro anni ferma nel cassetto del magistrato Giancarlo Capaldo. E il Csm resta immobile
Le carte finiscono nelle mani del giornalista. Per ragioni tecniche, il processo viene spostato a Verona, e la professoressa viene del tutto assolta. Le accuse erano assolutamente infondate e di pura fantasia. Nel luglio del 2016 la Capua è stata prosciolta dall’accusa di “traffico illecito di virus” perché “il fatto non sussiste”.
Il ministero chiese che Capaldo fosse giudicato dal Csm. Capaldo, però, riuscì a compiere 70 anni e ad andarsene in pensione prima del giudizio. Processo estinto. L’Espresso non ha mai chiesto scusa e Lirio Abbate, nel frattempo, ha fatto carriera. L’Ordine dei giornalisti non è intervenuto. Il Csm è restato in silenzio.
La Capua e il coronavirus
Oggi la Capua è cercata da politici e giornalisti italiani. “Le misure di contenimento in Italia stanno funzionando” dice la Capua al Corriere. Per la studiosa ora è “fondamentale fare il tampone ai sanitari”. Ma per quanto riguarda la possibilità di utilizzare le nuove tecnologie esprime “qualche perplessità”: “Non siamo coreani. E nemmeno cinesi, dove queste tecnologie sono state utilizzate”. Per la virologa l’emergenza sanitaria ci impone ora di “proteggere soprattutto le persone fragili. Gli immunodepressi perché magari hanno un tumore. Chi soffre di malattie croniche come cardiopatie o diabete. Occorre entrare nell’ordine di idee che tutti, ma soprattutto queste persone, per un ‘certo numero di mesi’ dovranno proteggersi. Probabilmente il contagio non si fermerà anche se rallenterà”. In questo senso il nostro sistema sanitario dovrà, secondo la virologa, “farsi carico di queste persone che non sempre sono anziani, al di fuori della società produttiva. Sono persone che hanno ancora la loro vita lavorativa”.
“Il virus non se ne andrà, si vaccineranno solo le persone a rischio” e, aggiunge infine, “aspettiamoci altre sorprese”. Ecco, sarebbe stato bello avere una virologa italiana in Italia per farle seguire l’evoluzione del coronavirus in Italia. Ma, purtroppo, i poteri forti l’hanno sbattuta fuori dal nostro Paese.
di Antonio del Furbo
antonio.delfurbo@zonedombratv.it