Strage di via D’Amelio: i depistaggi dello Stato e la lotta dei figli di Borsellino per la verità
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Ancora una volta, figure istituzionali sono nel mirino per le indagini fallimentari sulla strage di via D’Amelio e per i successivi sviluppi nei tribunali.

Strage di via D’Amelio: i depistaggi dello Stato e la lotta dei figli di Borsellino per la verità. I figli di Paolo Borsellino – Lucia, Manfredi e Fiammetta – esigono nuovamente risposte dallo Stato: “Non abbiamo mai smesso di cercare la verità”, afferma Fabio Trizzino, marito di Lucia, prima di entrare nell’udienza preliminare in cui il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso richiede un processo per quattro poliziotti.

Gli imputati, Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, erano membri del Gruppo d’inchiesta sulle stragi Falcone e Borsellino. Ora sono accusati di “depistaggio”, reato previsto dall’articolo 375 del codice penale, un’accusa che nasce da altri inquietanti silenzi. Per questo motivo, i figli di Borsellino hanno chiesto di costituirsi parte civile. “Continueremo a dare il nostro contributo alla faticosa ricerca della verità anche in questo processo”, ribadisce Trizzino. “Mi sia consentito, però, dire che questo è solo un altro tassello di un quadro molto più ampio e complesso che vede coinvolti vari livelli istituzionali”.

La procura di Caltanissetta, diretta da Salvatore De Luca, è impegnata anche nell’indagine sull’insabbiamento del dossier mafia e appalti, a cui Borsellino era particolarmente interessato. Oggi, nell’ambito di questa inchiesta, verrà sentito il generale Stefano Screpanti, ufficiale della Guardia di finanza che nel 1992 coordinò le intercettazioni sui mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura. Le intercettazioni, chiuse in tre mesi dal pubblico ministero Gioacchino Natoli perché ritenute “irrilevanti”, si rivelano ora cruciali. Natoli e Screpanti sono indagati per favoreggiamento alla mafia, con Screpanti che risponde anche di falso.

Trentadue anni dopo le stragi, sono gli uomini dello Stato a essere sotto accusa.

Nell’udienza preliminare, i figli di Borsellino chiamano in causa come responsabili civili la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno, un passaggio tecnico per la richiesta di risarcimento del danno, ma di forte valore simbolico. Pezzi dello Stato hanno depistato, mentito, insabbiato e ora devono risponderne. Alla nuova udienza per il depistaggio hanno chiesto di costituirsi parte civile anche i familiari dei poliziotti uccisi in via D’Amelio e pure gli accusati ingiustamente di strage da Scarantino.

Erano stati i giudici del tribunale a mandare in procura le deposizioni dei quattro poliziotti, al termine del processo contro l’ex dirigente Mario Bò, gli ex ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “L’ispettore Zerilli ha detto 121 non ricordo, e non su circostanze di contorno”, hanno scritto i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che ha svelato i misteri del falso pentito Vincenzo Scarantino, costruito ad arte dall’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera.

Oltre cento i non ricordi di un altro ispettore, Angelo Tedesco, e ben 110 di Giuseppe Di Gangi. Il quarto ispettore, Vincenzo Maniscaldi, “non si è trincerato dietro ai non ricordo, ma ha riferito circostanze false”, ha scritto il collegio presieduto da Francesco D’Arrigo. Dopo la trasmissione dei verbali in procura, i quattro poliziotti sono stati indagati per falsa testimonianza. Convocati in procura, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Successivamente, la procura ha modificato l’accusa in quella più grave di depistaggio.

La ricerca della verità prosegue.

Dice ancora l’avvocato Trizzino: “I figli di Paolo Borsellino persevereranno nell’improntare la loro azione nel solco dell’eredità morale del padre, ossia con la massima fiducia ed il rispetto per le istituzioni dello Stato”. Un’altra lezione di dignità e determinazione dalla famiglia Borsellino.

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